Parola dal suono decisamente particolare, insolito, e che in molti potrebbero leggere oggi per la prima volta nella propria vita.
Ci riferiamo a “xenobiotico”, termine che non fa parte del vocabolario quotidiano della maggior parte delle persone, ma di cui sarebbe meglio conoscere il significato.
Gli xenobiotici sono, infatti, delle sostanze chimiche potenzialmente molto dannose per gli esseri umani e che non dovrebbero mai condividere alcun ambiente con degli organismi viventi.
Purtroppo, ciò non sempre accade. Vediamo, allora, di cosa si tratta nello specifico e quali possono essere i rischi per la salute dell’uomo.
La parola “xenobiotico” deriva dal greco antico ξένος = straniero + βίος = vita.
Gli xenobiotici sono, dunque, delle sostanze di origine naturale o sintetica estranee a un organismo e che possono provocare disfunzioni e alterazioni a livello sia cellulare che fisiologico, in rapporto alla loro natura e al livello di concentrazione.
Essi possono arrecare danni sia agli esseri umani che agli animali e, più in generale, agli ecosistemi popolati da queste forme di vita.
Per questo, come già anticipato in precedenza, gli xenobiotici non dovrebbero mai essere presenti nello stesso ambiente popolato da organismi viventi.
Spesso, però, questo scenario non si verifica, tanto che quotidianamente gli esseri umani si trovano a convivere con gli xenobiotici.
Ne sono un esempio i prodotti chimici industriali come i pesticidi e gli inquinanti, i prodotti di pirolisi della cottura dei cibi, le tossine prodotte da piante, funghi e animali, i farmaci, gli alcaloidi metaboliti secondari delle piante, gli additivi alimentare e le molecole di sintesi industriale.
Tutti elementi che rientrano nella grande famiglia degli xenobiotici e che, talvolta, riescono a insinuarsi nell’organismo umano attraverso l’assorbimento, la respirazione o l’assunzione di cibi e bevande.
È così che tali sostanze riescono a entrare nel nostro corpo, tramite pelle, polmoni e apparato digerente, ed è qui che possono poi provocare gravi danni.
Nel caso in cui il metabolismo umano non riesca a processare adeguatamente gli xenobiotici presenti nell’organismo, essi possono finire con l’accumularsi nel corpo, promuovendo lo sviluppo di malattie croniche e di stati infiammatori.
Effetti nocivi per l’uomo che dipendono direttamente da alcune variabili specifiche, quali: la suscettibilità genetica, la presenza di malattie pregresse, l’alterazione dei processi di detossificazione, la qualità del microbiota intestinale, l’accumulo adiposo e il tempo e il grado di esposizione.
Per questo, un ruolo fondamentale è quello ricoperto dal fegato e dai reni, organi deputati – tra le altre cose – alla neutralizzazione proprio di queste sostanze tossiche.
Tra di esse rientrano, non solo i prodotti di sintesi ottenuti in laboratorio, bensì anche molecole naturali.
Per esempio, la tossina del botulino non è una sostanza xenobiotica per il batterio che la produce, ma lo è per l’uomo che la immette nel proprio corpo mangiando un alimento sott’olio mal preparato o conservato in maniera impropria nel tempo.
Oltre che tossici, gli xenobiotici possono essere anche genotossici a livello dell’organismo umano.
I danni che provocano a livello del DNA possono, talvolta, aprire la strada allo sviluppo di ulteriori anomalie, anche molto gravi.
Alcune di esse sono l’aborto spontaneo o l’infertilità, oltre alle malattie genetiche e diverse forme di cancro.
Pesticidi come il DDT o le diossine e i bifenilpoliclorurati, per esempio, possono accumularsi nel tessuto adiposo, dove vengono trattenuti e la loro concentrazione plasmatica porta alla nascita di effetti negativi sulla salute che si possono protrarre per molto tempo.
Quando una sostanza entra nell’organismo, quest’ultimo la riconosce come estranea e inizia a metabolizzarla, così da favorirne l’eliminazione.
L’azione del metabolismo può, però, sia aumentare che diminuire o abolire le proprietà tossiche di una sostanza.
Per questo, gli effetti causati dagli xenobiotici possono mostrarsi anche per un lungo periodo.
In alcuni studi condotti nel 2012, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (la OMS, ndr) ha verificato come all’incirca il 23% di tutte le cause di morte nel Mondo fosse attribuibile a cause di natura ambientale.
Tra queste, rientravano sicuramente l’alto tasso di inquinamento, il rumore, le radiazioni, il fumo, il sempre più discusso cambiamento climatico e anche lo sfruttamento del suolo.
Un quadro che è, poi, andato peggiorando sempre di più con il passare degli anni, come dimostrano gli altri report realizzati in merito dalla OMS, a distanza sempre di tre anni l’uno dall’altro.
È, così, stato messo in evidenza come esista un rapporto strettissimo tra la qualità di vita dell’uomo e l’ambiente in cui vive.
Una realtà resa lampante già nel 2012 da un dato davvero allarmante e che indicava l’inquinamento dell’aria come responsabile di circa 5 milioni di morti ogni anno già all’epoca.
L’inquinamento di ciò che respiriamo – xenobiotici compresi – rientra nei dieci fattori di rischio globali più critici.
È stato stabilito, infatti, come siano esposte a un maggiore rischio di sviluppare delle malattie croniche come il diabete, un tumore, le malattie cardiovascolari, polmonari o renali tutte quelle persone che vivono quotidianamente in ambienti nella cui aria è presente PM 2.5 o PM 10 (polveri sottili dannose, ndr).
Ad aumentare il rischio di incorrere in patologie neurologiche o reumatologiche è, invece, l’esposizione prolungata e massiccia ai solventi organici presenti in vernici, pitture, lacche, adesivi, colle, detergenti, sgrassanti e alla produzione di coloranti, materie plastiche, tessuti, polimeri, inchiostri, prodotti agricoli e farmaceutici.
Non solo. Anche i pesticidi vengono spesso associati a diverse patologie negli adulti e nei bambini, come l’Alzheimer, il Parkinson e tumori vari.
Discorso che vale anche per i metalli pesanti, i quali possono provocare anche demenza e diabete.
Tutti elementi a cui prestare grande attenzione, dunque, e che rientrano, ancora una volta, nella famiglia allargata degli xenobiotici.
Ecco spiegato perché, secondo molti studi, vivere in grandi città o in prossimità di strade trafficate si lega direttamente a una minore qualità di salute, mentre risiedere in ambienti più verdeggianti e naturali accresce il livello di vita.
Resta, quindi, fondamentale cercare di ridurre l’accumulo di sostanze dannose nell’ambiente, a partire dall’eliminazione di quelle più pericolose.
Questa è l’unica soluzione per iniziare a creare ambienti più sani nei quali poter vivere e con una minore presenza di tutti quegli xenobiotici dannosi per gli esseri viventi.
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