Capire perché alcune cellule tumorali diventano resistenti alla chemioterapia è una sfida fondamentale nella ricerca contro il cancro, perché questa terapia rappresenta tutt’oggi un trattamento di prima linea per la maggior parte dei tumori. Nuovi dettagli in merito arrivano da un nuovo studio australiano che si è focalizzato, in particolare, sulla risposta alla chemioterapia delle cellule tumorali del glioblastoma, il tumore cerebrale maligno più frequente nell’adulto, in cui è noto che circa il 15% dei pazienti non risponde ai trattamenti e in cui generalmente si osserva che la risposta ai trattamenti è “netta”, ossia o funziona o non funziona. Dalla ricerca condotta dall’Istituto australiano di Ricerca medica Garvan, con il gruppo di David Croucher, è emerso che uno dei meccanismi di difesa delle cellule tumorali è “innescato dalla casualità”.
Come descritto sulle pagine della rivista specializzata Science Advances, secondo gli studiosi riuscire a bloccare questo comportamento potrebbe aiutare a sviluppare terapie più efficaci.
Analizzando le risposte di queste cellule tumorali ai trattamenti, il team di ricerca ha osservato un “rumore” intrinseco casuale nei meccanismi che portano poi all’attivazione della risposta ai chemioterapici. “I nostri risultati suggeriscono che la genetica non tiene conto di tutto in quanto la risposta ai farmaci può essere determinata anche da anche altri meccanismi che dobbiamo imparare a prendere meglio in considerazione“, ha riferito Sharissa Latham, co-autrice principale dello studio. Inoltre, gli studiosi australiani hanno dimostrato che una volta che le cellule di glioblastoma raggiungono uno stato di resistenza alla chemioterapia, non possono tornare indietro, suggerendo che esiste una piccola finestra in cui il trattamento potrebbe funzionare su una cellula tumorale prima che venga bloccata.
“La combinazione della chemioterapia con farmaci che mirano a questo rumore all’interno dei tumori può avere i migliori risultati come trattamento di prima linea dopo la diagnosi, prima che i tumori si blocchino in uno stato di resistenza“, ha sottolineato il professore associato Croucher.
Secondo gli studiosi sarebbe dunque necessario trovare un modo per inserirsi e bloccare i meccanismi di difesa che agiscono in modo casuale prima ancora che la cellula tumorale li inneschi. Una strategia che dovrebbe essere perseguita già nelle prime fasi dei trattamenti, contemporaneamente alla somministrazione della chemioterapia. Ma farlo “dovrebbe comportare uno stravolgimento dei protocolli attuali, secondo i quali i nuovi trattamenti possono essere sperimentati solo quando si sono esaurite le opzioni già note“, hanno concluso i ricercatori.
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