La tirosinemia è una malattia ereditaria. Si tratta di una patologia dovuta a un difetto del metabolismo della tirosina. Si distinguono principalmente tre tipi di tirosinemia: tipo I (causata dal deficit di fumarilacetoacetato idrolasi); tipo II (causata dal deficit di tirosina aminotransferasi); tipo III (causata dal deficit di 4-idrossifenilpiruvato diossigenasi). Le prime descrizioni cliniche della malattia risalgono agli inizi degli anni ‘60, ma solo nel 1977, grazie alla dimostrazione di elevate concentrazioni urinarie di succinilacetone (SA) nei pazienti, è stato possibile identificare il difetto biochimico a livello dell’ultimo enzima della degradazione della tirosina, la fumarilacetoacetato idrolasi (FAAH).
In alcune regioni sono stati avviati degli studi pilota di screening neonatale di massa della malattia che hanno dimostrato che l’incidenza della tirosinemia epatorenale è di 1 caso ogni 100mila nascite. Nella regione canadese del Quebec lo screening neonatale della tirosinemia è divenuto pratica corrente da molti anni poiché in questa zona si è osservata una frequenza particolarmente elevata (1:2000 nascite).
La trasmissione è di tipo autosomico recessivo. Entrambi i geni, sia quello di origine materna che quello di origine paterna, sono alterati. I genitori sono portatori di una copia alterata del gene (l’altra copia è normale) e non sono affetti dalla malattia ma rischiano a ogni gravidanza, con un 25% di probabilità, di avere un figlio malato. Il deficit dell’enzima fumarilacetoacetato idrolasi determina l’accumulo di fumarilacetoacetato e maleilacetoacetato nel fegato e nel rene, e del succinilacetone a livello sistemico. Queste sostanze sono responsabili del danno epato-renale e della degenerazione neoplastica del fegato. Si può manifestare entro i primi mesi di vita (forma acuta); tra i sei mesi e un anno (forma subacuta); dal primo anno di vita (forma cronica). Il trattamento della tirosinemia tipo I si basa sull’utilizzo dell’NTBC (nitisinone, ORFADIN).
La trasmissione è di tipo autosomico recessivo. Come quella di tipo I, entrambi i geni, sia quello di origine materna che quello di origine paterna, sono alterati. I genitori sono portatori di una copia alterata del gene (l’altra copia è normale) e non sono affetti dalla malattia ma rischiano a ogni gravidanza, con un 25% di probabilità, di avere un figlio malato. I sintomi in genere compaiono nel primo anno di vita: sono rappresentati da ulcerazioni corneali bilaterali dolorose con fotofobia e iperemia congiuntivale. Le complicanze a lungo termine sono rappresentate da opacità corneale, diminuzione dell’acuità visiva, cornea plana, astigmatismo, ambliopia e glaucoma. Il trattamento della tirosinemia tipo 2 consiste in una dieta a basso contenuto di fenilalanina e tirosina.
Come negli altri due casi, la trasmissione è di tipo autosomico recessivo. E sempre come gli altri due casi, entrambi i geni, sia quello di origine materna che quello di origine paterna, sono alterati. I genitori sono portatori di una copia alterata del gene (l’altra copia è normale) e non sono affetti dalla malattia ma rischiano a ogni gravidanza, con un 25% di probabilità, di avere un figlio malato. La diagnosi è nell’elevazione dei livelli plasmatici della tirosina (300-1300 mcmol/L), aumento dell’escrezione urinari degli acidi 4-idrossifenilpiruvico, 4-idrossifenillattico e 4-idrossifenilacetico. Bisogna seguire una dieta a basso contenuto di tirosina e fenilalanina.
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