Tirosinemia: cos’è, quali sono i suoi sintomi e come si cura

La tirosinemia è una malattia ereditaria. Si tratta di una patologia dovuta a un difetto del metabolismo della tirosina. Si distinguono principalmente tre tipi di tirosinemia: tipo I (causata dal deficit di fumarilacetoacetato idrolasi); tipo II (causata dal deficit di tirosina aminotransferasi); tipo III (causata dal deficit di 4-idrossifenilpiruvato diossigenasi). Le prime descrizioni cliniche della malattia risalgono agli inizi degli anni ‘60, ma solo nel 1977, grazie alla dimostrazione di elevate concentrazioni urinarie di succinilacetone (SA) nei pazienti, è stato possibile identificare il difetto biochimico a livello dell’ultimo enzima della degradazione della tirosina, la fumarilacetoacetato idrolasi (FAAH).

Laboratorio medico
Laboratorio medico | pixabay @jarmoluk

In alcune regioni sono stati avviati degli studi pilota di screening neonatale di massa della malattia che hanno dimostrato che l’incidenza della tirosinemia epatorenale è di 1 caso ogni 100mila nascite. Nella regione canadese del Quebec lo screening neonatale della tirosinemia è divenuto pratica corrente da molti anni poiché in questa zona si è osservata una frequenza particolarmente elevata (1:2000 nascite).

La Tirosinemia tipo I

La trasmissione è di tipo autosomico recessivo. Entrambi i geni, sia quello di origine materna che quello di origine paterna, sono alterati. I genitori sono portatori di una copia alterata del gene (l’altra copia è normale) e non sono affetti dalla malattia ma rischiano a ogni gravidanza, con un 25% di probabilità, di avere un figlio malato. Il deficit dell’enzima fumarilacetoacetato idrolasi determina l’accumulo di fumarilacetoacetato e maleilacetoacetato nel fegato e nel rene, e del succinilacetone a livello sistemico. Queste sostanze sono responsabili del danno epato-renale e della degenerazione neoplastica del fegato. Si può manifestare entro i primi mesi di vita (forma acuta); tra i sei mesi e un anno (forma subacuta); dal primo anno di vita (forma cronica). Il trattamento della tirosinemia tipo I si basa sull’utilizzo dell’NTBC (nitisinone, ORFADIN).

La Tirosinemia tipo II

La trasmissione è di tipo autosomico recessivo. Come quella di tipo I, entrambi i geni, sia quello di origine materna che quello di origine paterna, sono alterati. I genitori sono portatori di una copia alterata del gene (l’altra copia è normale) e non sono affetti dalla malattia ma rischiano a ogni gravidanza, con un 25% di probabilità, di avere un figlio malato. I sintomi in genere compaiono nel primo anno di vita: sono rappresentati da ulcerazioni corneali bilaterali dolorose con fotofobia e iperemia congiuntivale. Le complicanze a lungo termine sono rappresentate da opacità corneale, diminuzione dell’acuità visiva, cornea plana, astigmatismo, ambliopia e glaucoma. Il trattamento della tirosinemia tipo 2 consiste in una dieta a basso contenuto di fenilalanina e tirosina.

Stetoscopio
Stetoscopio | pixabay @ StockSnap

La Tirosinemia tipo III

Come negli altri due casi, la trasmissione è di tipo autosomico recessivo. E sempre come gli altri due casi, entrambi i geni, sia quello di origine materna che quello di origine paterna, sono alterati. I genitori sono portatori di una copia alterata del gene (l’altra copia è normale) e non sono affetti dalla malattia ma rischiano a ogni gravidanza, con un 25% di probabilità, di avere un figlio malato. La diagnosi è nell’elevazione dei livelli plasmatici della tirosina (300-1300 mcmol/L), aumento dell’escrezione urinari degli acidi 4-idrossifenilpiruvico, 4-idrossifenillattico e 4-idrossifenilacetico. Bisogna seguire una dieta a basso contenuto di tirosina e fenilalanina.

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