Una condizione abbastanza rara, ma che ogni anno in Italia colpisce poco meno di cinquanta persone, in particolare neonati e bambini nei primi quattro anni d’età.
Si tratta della sindrome emolitico uremica, una complicanza dell’infezione da Escherichia Coli che può portare all’insufficienza renale e al doversi sottoporre a una cura di dialisi.
Se non debitamente e prontamente curata, può portare alla morte di chi ne è affetto, come purtroppo è già accaduto in passato, anche nel Belpaese.
Fondamentale per i medici è quindi formulare un’attenta diagnosi in tempo, così da poter poi aiutare il paziente con una cura apposita e dal processo estremamente delicato.
Cos’è la sindrome emolitico uremica?
La sindrome emolitico uremica (spesso indicata semplicemente con la sigla SEU, ndr) è una grave malattia che colpisce solitamente i bambini nei primi anni di vita e che porta alla formazione di piccoli coaguli di sangue (dei trombi, ndr) in tutto il corpo, i quali finiscono così con il bloccare l’apporto di sangue a organi vitali come reni, cuore e cervello.
Si tratta di una malattia rara e nella quale la parola “emolitica” si riferisce alla degradazione dei globuli rossi, mentre “uremica” indica che la lesione renale che si forma causa un accumulo di urea (prodotto di scarto, ndr) nel sangue.
La SEU solitamente colpisce proprio i reni, dal momento che provoca uno stato di insufficienza renale in chi ne soffre, mettendo in serio pericolo la vita del soggetto malato, solitamente bambini.
Questo ultimo aspetto è ciò che la differenzia dalla porpora trombocitopenica trombotica (indicata anche come PTT, ndr), malattia alla quale la sindrome emolitico uremica è spesso associata, ma che invece è più comune tra le persone adulte.
I trombi che si formano a causa della SEU ostruiscono i vasi sanguigni più piccoli in tutto il corpo, concentrandosi però principalmente nella zona dei reni, del cervello e del cuore.
È qui che, solitamente, il blocco di questi vasi finisce con il danneggiare fortemente gli organi sopra citati, spezzando anche i globuli rossi, i quali passano poi attraverso dei vasi parzialmente bloccati.
La presenza dei coaguli porta anche a un eccessivo consumo di piastrine, favorendo un rapido e improvviso calo del numero generale di quelle in circolazione.
Un grave danno per l’organismo, visto che le piastrine sono le cellule prodotte nel midollo osseo che ricoprono anche la funzione di favorire la coagulazione del sangue, lavoro che in presenza dalla SEU non riescono a effettuare con efficacia.
Ma come si arriva a sviluppare questa condizione?
Solitamente la sindrome emolitico uremica si sviluppa in seguito a un’infezione intestinale provocata dall’ingestione di cibi contaminati da Escherichia Coli o da altri batteri in grado di produrre tossine.
Il decorso della SEU, infatti, è dovuto all’azione di due tossine particolari: la shiga e la verocitotossina.
Esse entrano nel circolo sanguigno e colpiscono in particolare i reni. Una condizione che riguarda gli esseri umani, mentre risulta innocua per animali come mucche e ovini.
Quest’ultimi nel loro intestino ospitano, infatti, frequentemente ceppi di Escherichia Coli, ma il batterio non provoca la sindrome emolitico uremica in quanto tali animali sono sprovvisti di recettori per la tossina.
I sintomi e come curarsi
I sintomi della SEU possono cambiare in base alla zona del corpo in cui si formano i coaguli di sangue, motivo per cui in alcuni casi cambia pure la cura.
La diagnosi dei medici si basa, infatti, sui sintomi mostrati dal paziente e sugli esami del sangue, i quali permettono di capire quali funzioni vitali necessitino di supporto e quali aree del corpo del malato debbano essere trattate.
Solitamente, l’infezione da Escherichia Coli verocitotossico si manifesta attraverso una gastroenterite, accompagnata talvolta da vomito, forti dolori addominali e presenza di sangue.
La riduzione della diuresi, l’astenia e il pallore sono altri sintomi che possono indicare la presenza di un’infezione, con la sindrome emolitica uremica che può essere diagnosticata con certezza in presenza di anemia, insufficienza renale e calo delle piastrine circolanti.
In Italia, la maggior parte dei casi di SEU negli anni si sono registrati nelle regioni del Nord, in particolare in Valle d’Aosta, Veneto, Piemonte, Lombardia e Trentino Alto-Adige.
Tutte aree in cui l’allevamento dei bovini è più diffuso e intensivo e nelle quali è quindi più facile finire con il consumare dei latticini contaminati da ceppi di Escherichia Coli produttori di tossine o entrare in contatto con le feci di tali animali.
Per questo, fondamentale è fare della prevenzione.
Come? Innanzitutto, rispettando tutte le norme di sicurezza alimentare e lavando sempre molto bene le mani e gli utensili utilizzati durante i pasti.
Da evitare è, poi, il consumo di carne poco cotta, soprattutto se al carpaccio o macinata, e di latte crudo non pastorizzato.
Importante è anche assicurarsi sempre che carne, pollame e frutti di mare siano ben isolati da frutta e verdura, alimenti che si consumano solitamente crudi.
I batteri possono essere trasmessi, infatti, da un alimento all’altro e poi da uomo a uomo.
Il periodo di incubazione della malattia varia tra l’uno e in cinque giorni, mentre le cure a contrasto della sindrome emolitico uremica richiedono solitamente o l’assunzione di farmaci, quali eculizumab e raviluzumab, o il sottoporsi a dialisi renale.
Quest’ultima procedura si rende necessaria in circa la metà dei bambini affetti da SEU, nei quali il dispositivo di dialisi aiuta a rimuovere i prodotti di scarto dal sangue.
Un procedimento che, la maggior parte delle volte, permette ai reni di riacquistare la loro naturale funzionalità, ma che in alcuni casi può provocare anche un danno renale permanente negli stessi soggetti.
Per quanto riguarda i farmaci, l’eculizumab e il ravulizumab esercitano, invece, la funzione di sopprimere il complemento, ovvero un componente del sistema immunitario.
Riescono così a ridurre il tasso di danno renale e, in diversi casi, a ripristinare la funzionalità dei reni in poco tempo.
Una controindicazione è il fatto che chi assume tali farmaci è più esposto al rischio di contrarre la meningite meningococcica, motivo per cui si è costretti a ricevere anche un vaccino antimeningococcico.