La sindrome di Berdon prende il suo nome da Walter Berdon, il primo medico che nel 1976 individuò in cinque bambini quella che si è poi rivelata essere una malattia genetica rara.
Si tratta, infatti, di un disturbo di cui soffrono pochissime persone nel Mondo e del quale ancora oggi si conosce troppo poco.
È difficile quindi capire come curare efficacemente la sindrome di Berdon, sebbene la medicina negli anni abbia fatto passi avanti importanti e abbia reso possibile alcuni trattamenti.
La sindrome di Berdon è conosciuta anche come sindrome megacisti-microcolon-ipoperistalsi intestinale o MMIHS (acronimo del nome inglese Megacystis-Microcolon-Intestinal Hypoperistalsis Syndrome) ed è una patologia che si manifesta attraverso una marcata dilatazione della vescica urinaria e un significativo gonfiore addominale.
Si tratta di due sintomi parecchio gravi e che tendono a minacciare anche la vita del paziente.
Purtroppo, la prognosi della sindrome di Berdon è molto spesso negativa e può portare a esiti fatali, anche in poco tempo (la durata di vita dipende sostanzialmente dal livello di aggressività della malattia).
La marcata dilatazione della vescica urinaria e il significativo gonfiore addominale sono, nello specifico, due sintomi che causano a loro volta una serie di disturbi che compromettono la normale minzione e l’alimentazione del paziente.
Per questo motivo, queste due semplici azioni devono essere gestite artificialmente in chi soffre di MMIHS.
Trattandosi di una malattia estremamente rara, ancora oggi l’incidenza della sindrome di Berdon non è ben definita (si parla di qualche centinaio di casi confermati), ma pare che tale patologia colpisca soprattutto individui di sesso femminile.
A causarla sarebbero delle mutazioni genetiche, sebbene l’identificazione precisa del gene responsabile della sindrome di Berdon non è sia ancora stata compresa del tutto.
Stando agli studi condotti finora, però, è possibile osservare come all’origine della sindrome ci sia il coinvolgimento di diversi geni.
Ma quali? I ricercatori hanno posto l’attenzione soprattutto sui seguenti:
I geni appena elencati sono coinvolti nei meccanismi che regolano la contrazione della muscolatura liscia, la quale include anche quella della vescica e del tratto enterico.
Ecco allora che l’azione proprio di questi specifici geni potrebbe spiegare i sintomi caratteristici della sindrome di Berdon.
Stando ai dati raccolti finora, si pensa che la MMIHS segua un modello di trasmissione autosomica recessiva.
Ciò significa che, affinché il neonato sviluppi la sindrome e i suoi sintomi, quest’ultimo deve per forza ereditare entrambi gli alleli mutati del gene (o dei geni) responsabile, sia dalla madre che dal padre.
Questo vuol dire che entrambi i genitori saranno portatori sani della malattia.
Passiamo ora ai sintomi e vediamo quali sono i più comuni:
Oltre ai sintomi più diffusi, è possibile che chi soffre della sindrome megacisti-microcolon-ipoperistalsi intestinale sviluppi anche altre anomalie al tratto digerente, quali intestino corto e malrotazione intestinale, o delle malformazioni delle vie urinarie, come reni displastici e dilatazione uretrale.
Uno dei segni precoci della malattia resta invece la distensione addominale, comune soprattutto nei neonati affetti dalla sindrome.
Altri sintomi includono poi il vomito biliare, l’idrouretere, l’idronefrosi e la difficoltà nell’evacuazione del meconio (che contribuisce all’insorgenza della distensione addominale).
È, infine, a causa della ridotta o assente peristalsi intestinale che i neonati con sindrome di Berdon sono costretti a confrontarsi quotidianamente con gravi difficoltà nell’alimentarsi e nell’atto della minzione.
La diagnosi della sindrome di Berdon viene spesso effettuata dopo la nascita, basandosi sul quadro clinico presentato dal neonato e su eventuali esami radiologici e chirurgici.
Inoltre, possono essere eseguite indagini istologiche che tendono a rilevare una degenerazione vacuolare della parte centrale della muscolatura liscia, sia della vescica che dell’intestino.
La diagnosi prenatale è invece difficile da effettuare, data la modalità di trasmissione della malattia, a meno che non ci siano ragionevoli sospetti che il neonato possa esserne affetto.
In questo caso, l’ecografia fetale potrebbe evidenziare l’ingrossamento della vescica urinaria e l’idronefrosi, due segni visibili a partire dal secondo trimestre di gravidanza.
Alcuni studi suggeriscono, inoltre, l’utilizzo della risonanza magnetica associata all’analisi delle modificazioni enzimatiche per una diagnosi prenatale più accurata della MMIHS.
Discorso a parte è quello che riguarda invece la diagnosi differenziale, la quale deve essere posta con la pseudo-ostruzione intestinale idiopatica cronica (una malattia rara che coinvolge la motilità gastrointestinale) e con la sindrome del ventre a prugna secca, patologia caratterizzata dall’atrofia dei muscoli addominali e che conferisce al ventre dei neonati un aspetto grinzoso, simile alla superficie proprio di una prugna secca.
Purtroppo, è doveroso notare che, al momento, non esiste una cura definitiva per la sindrome di Berdon.
Nel corso degli anni, sono stati considerati diversi trattamenti chirurgici con l’obiettivo di migliorare l’alimentazione e la minzione del paziente, come la gastrostomia, la digiunostomia e la vescicostomia, ma spesso tali interventi non si sono rivelati efficaci nella gestione a lungo termine della malattia stessa.
Per garantire la sopravvivenza sul lungo periodo, è spesso necessario ricorrere quindi alla nutrizione parenterale totale, la quale di solito è resa possibile dall’utilizzo di un catetere venoso centrale (CVC).
Un’alternativa è anche la cateterizzazione urinaria.
In alcuni casi, è stato persino effettuato un trapianto multiorgano, maxioperazione che coinvolge il trapianto di vari organi coinvolti dalla sindrome, come intestino, stomaco, fegato, vie biliari e milza.
Si parla però di un intervento estremamente complesso e che presenta parecchi rischi significativi (questo tipo di operazione non può essere eseguita su tutti i pazienti).
Nonostante i progressi nell’innovazione della nutrizione endovenosa e nella possibilità di trapianti multiorgano, la prognosi della sindrome di Berdon rimane però generalmente sfavorevole.
Nella maggior parte dei casi, il decesso è causato da insufficienza multiorgano, malnutrizione e sepsi, che possono svilupparsi come complicanze della sindrome.
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