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Sindrome del tramonto: perché i malati d’Alzheimer peggiorano al calare del sole

L’invecchiamento porta con sé un decadimento cerebrale. Infatti, è come se lentamente parti del cervello perdessero la loro funzionalità fino a spegnersi.

Ognuno di noi possiede delle armi per proteggersi da questo decadimento, la più importante è la riserva cerebrale: più a lungo usiamo le aree del nostro cervello, più le terremo allenate e rallenteremo il loro spegnimento. Avere una vita ricca di stimoli, leggere molto, tenersi sempre occupati a livello mentale, aiuta a costruire un’ “impalcatura” in grado di rallentare il decadimento cerebrale.

Immagine | Unsplash – saluteweb.it

Questo allenamento costante aiuta, quindi, a mantenere un buon livello di riserva cognitiva: la resilienza del cervello rispetto ai danni cerebrali che con la vecchiaia andranno ad accumularsi in modo fisiologico.

Ad esempio, l’attività fisica aiuta a mantenere una buona plasticità del cervello, infatti abbassa i livelli di stress e favorisce l’ossigenazione di aree cerebrali addette alla memoria, come l’ippocampo: più ti alleni più la tua memoria ne beneficerà e il tuo cervello rimarrà plastico.

Demenza o demenze?

Non esiste un solo tipo di demenza. Per quanto la demenza senile sia quella più conosciuta, ne esistono di diverse tipologie e spesso possono essere confuse con l’Alzheimer, che invece ha un eziopatogenesi, quindi delle cause di sviluppo della malattia, che lo differenziano dalle altre demenze.

Per demenza si intende una condizione di disfunzione cronica e progressiva delle funzioni cerebrali che porta a un declino delle facoltà cognitive della persona.

Nel caso della demenza senile, si tratta di un decadimento fisiologico, ovvero di invecchiamento tipico. Questa demenza non è dovuta a malattie ma alla natura che semplicemente fa il suo corso. Comincia a manifestarsi a partire dai 60/70 anni e si tratta di una disfunzione progressiva e irreversibile delle funzioni del sistema nervoso centrale che porta a disturbi dell’umore, del comportamento e della personalità. Chi ne soffre comincia a “perdere colpi”, quindi ad essere più lento nei ragionamenti, a soffrire di poca concentrazione, e a dimenticarsi le cose.

La demenza però può essere causata anche da altri fattori, quindi non si tratta più di invecchiamento tipico ma atipico, in quanto il decadimento è dovuto all’insorgere di malattie o a problematiche interne. Ecco tre esempi di demenze correlate all’invecchiamento atipico:

  • Demenza vascolare: arriva meno sangue al cervello e quindi meno ossigeno a causa di un problema del sistema circolatorio. Questo può provocare ischemie, ovvero la morte di neuroni a causa della mancanza di ossigeno, meglio conosciute come ictus.
  • Corea di Huntington: malattia ereditaria degenerativa che comporta la distruzione dei neuroni adibiti alla regolazione dei movimenti, in questo caso la persona non riesce a stare ferma e si muove senza controllo in modo spasmodico.
  • Parkinson: anche questa è un tipo di demenza che colpisce soprattutto le aree del cervello che coordinano i movimenti. Chi ne soffre perde il controllo motorio diventando sempre più impacciato fino a sviluppare il tremore tipico della malattia.

Che cos’è l’Alzheimer?

Ora andiamo ad approfondire la tipologia di demenza che ci interessa di più per spiegare la sindrome del tramonto: l’Alzheimer.

Si tratta della forma di demenza più comune associata all’invecchiamento con una prevalenza del 6,5% dopo i 65 anni e l’11-39% dopo gli 85 anni. L’Alzheimer può svilupparsi anche in età precoce, quindi prima dei 60 anni, ma questi casi sono più rari e si tratta di Alzheimer ereditario.

L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa cronica e progressiva del cervello.

Chi ne soffre comincia a perdere la memoria e le capacità cognitive a causa delle placche senili: degli accumuli di proteine anomali. In più, vanno a crearsi dei grovigli di filamenti proteici, detti grovigli neurofibrillari costituiti dalla proteina tau, che alterano il funzionamento dei neuroni, a cominciare dall’ippocampo, una delle aree cerebrali adibite alla memoria, per poi allargarsi a tutta la corteccia.

Le placche senili e i grovigli neurofibrillari vanno a costruire una sorta di ragnatela nel nostro cervello che danneggia le cellule nervose compromettendo la trasmissione delle informazioni. I neuroni muoiono e l’atrofia cerebrale aumenta: il malato non riesce più ad elaborare le informazioni.

Immagine | Unsplash – saluteweb.it

Lessico della malattia:

Placche senili: accumuli extracellulari di betamiloide, peptide prodotto dal cervello che in questo caso non viene riassorbito e va ad accumularsi dapprima nell’ippocampo (area adibita alla memoria) e poi in tutta la corteccia.

Proteine tau: di solito questa proteina serve a costruire dei microtuboli neuronali, ma in questo caso le proteine tau si staccano e si ammassano formando dei grovigli che impediscono una corretta comunicazione assonale: impediscono al segnale di spostarsi all’interno del cervello causando la morte dei neuroni.

Elementi diagnostici dell’Alzheimer

Chi soffre di Alzheimer inizialmente fatica ad apprendere nuove informazioni, a ragionare, a panificare le azioni e ricordare gli eventi. Successivamente il cervello si riduce di dimensioni a causa della morte dei neuroni, e a questo punto i malati arrivano a non riuscire più a comunicare, a riconoscere i familiari e a perde il senso dell’orientamento.

L’alterazione del comportamento dovuta dalla malattia può portare all’aumento dell’aggressività, soprattutto negli uomini.

Un modo per aiutare chi soffre di Alzheimer è mantenere una routine sempre uguale per scandire la giornata in modo tale che il malato possa avvertire un senso di familiarità. Infatti, cambiando anche solo la posizione di un mobile della casa, il malato potrebbe perdere completamente il senso dell’orientamento.

Sindrome del tramonto: che cos’è e come si manifesta?

La sindrome del tramonto, conosciuta anche come sundowning syndrome, consiste in un peggioramento dei sintomi dell’Alzheimer e della demenza nelle ore serali: il sole cala e la malattia peggiora.

Ma da che cosa dipende questo peggioramento?

Quando il sole si abbassa e compare il buio, un malato di Alzheimer potrebbe dimostrarsi più ansioso e agitato, addirittura aggressivo. Il buio porta il malato a non sapersi orientare a livello spaziale e a livello temporale, come se nella sua mente si chiedesse a ripetizione: “Dove sono? Che ore sono? Perché è buio?”

Questo senso di confusione e angoscia può portare chi soffre di Alzheimer a ripetere frasi come: “Voglio andare a casa mia” oppure “Voglio vedere mia mamma”, questo perché i malati non si sentono al sicuro dove si trovano e cercano disperatamente qualcosa di familiare che possa ristabilire un senso di conforto.

Come aiutare chi soffre della sindrome del tramonto

Per rendere le serate meno turbolente a chi soffre di Alzheimer ci sono dei piccoli accorgimenti che possono fare la differenza, come:

  • Tenere l’ambiente illuminato: il buio impedisce loro di integrare informazioni visive e quindi li fa sentire ancora più confusi e persi.
  • Pisolino nel pomeriggio: l’elaborazione di ogni piccola informazione implica per il malato un enorme sforzo mentale, a causa della “ragnatela” che rallenta la trasmissione del segnale, ecco perché un pisolino pomeridiano può aiutare a rilassarsi e a vivere le ore successive in modo più sereno.
  • Depressione: soprattutto nelle prime fasi dove il malato ha ancora un minio di consapevolezza del suo stato e quindi anche del suo imminente peggioramento, può cadere in uno stato di depressione che farà aumentare la sindrome del tramonto. Per questo è importante non farlo sentire solo e tenere la sua mente stimolata positivamente.
  • Caffeina e zucchero: da eliminare totalmente nelle ore serali. Infatti, queste due sostanze tendono a fare aumentare il ritmo cardiaco e lo stato d’agitazione.
  • Routine: come abbiamo già visto mantenere una routine chiara e sempre uguale consente di vivere meglio la malattia ma anche di riposare più tranquillamente.

La notte nemica delle malattie mentali

Le anomalie del ciclo sonno/veglia sono tipiche di molte patologie mentali. Tanto che un manifestarsi prolungato di insonnia o disturbi del sonno può servire come elemento di diagnosi per depressione, ansia, PTSD (Disturbo da Stress Post Traumatico) e schizofrenia.

I disturbi del sonno possono aggravarsi a causa della malattia oppure possono andare ad aggravare la malattia stessa, per questo è importante intervenire su entrambe le cose in modo integrato.

Nel caso specifico dell’Alzheimer dormire meno porta ad un accumulo delle placche amiloidi (placche senili) che va a fare peggiorare la malattia. Questa relazione bidirezionale è talmente forte che non è ancora chiaro se l’insorgenza della malattia dell’Alzheimer causi una quantità di sonno ridotta o viceversa.

Perché dormiamo? Teoria della plasticità cerebrale

Secondo la teoria della plasticità cerebrale durante il sonno nella nostra mente avviene qualcosa di importantissimo per la memoria. Ovvero, le informazioni che abbiamo incamerato durante il giorno vanno a sedimentarsi durante il sonno.

Il nostro cervello, quindi, durante le ore notturne scarterà le informazioni inutili e conserverà quelle più importanti facendo spazio per nuove informazioni e conservando quelle essenziali che invece immagazzinerà nella memoria.

Chi soffre di Alzheimer, quindi, subisce un peggioramento della memoria anche a causa delle ore ridotte di sonno, fattore che impedisce l’immagazzinamento e la selezione delle informazioni in memoria.

Per concludere, la sindrome del tramonto ci ricorda che prima o poi la luce si spegne per tutti. Ma quello che possiamo fare nel nostro piccolo è aiutare il nostro cervello accumulando abbastanza riserva cognitiva da fare rimanere accesa quella luce più a lungo possibile.

Alessia Barra

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