La fame emotiva è uno dei fattori che contribuiscono all’obesità: ecco di cosa si tratta e come imparare a gestirla.

Negli ultimi anni, l’obesità è diventata una delle principali preoccupazioni per la salute pubblica a livello globale. Un aspetto che merita particolare attenzione è la correlazione tra obesità e fame emotiva, un fenomeno che colpisce soprattutto i bambini e gli adolescenti. Recenti studi evidenziano che oltre il 60% dei bambini tra i 5 e i 13 anni tende a mangiare in risposta a stati d’animo, un comportamento che può avere conseguenze devastanti se non riconosciuto e gestito precocemente. La presidente della Società Italiana di Psichiatria, Liliana Dell’Osso, sottolinea l’importanza di un approccio preventivo, considerando che la fame emotiva può evolversi in un vero e proprio circolo vizioso.
La crescente incidenza della fame emotiva tra i giovani
La relazione tra obesità e disturbi psichiatrici è un tema di crescente rilevanza scientifica. Molti disturbi mentali, come i disturbi d’ansia e dell’umore, sono spesso accompagnati da alterazioni dell’appetito, che possono manifestarsi sia come una riduzione che come un aumento della fame. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’obesità è frequentemente osservata in pazienti con disturbi psichiatrici, e il cibo può diventare un meccanismo di coping, o automedicazione, per affrontare il disagio psicologico.
Questa dinamica si traduce in un aumento del rischio di sviluppare malattie metaboliche, che ora rappresentano una delle principali cause di mortalità non solo tra i pazienti psichiatrici, ma anche nella popolazione generale. È essenziale quindi che i professionisti della salute mentale e quelli della salute fisica collaborino per affrontare in modo integrato questo problema.
Le conseguenze della fame emotiva
La fame emotiva può portare a comportamenti alimentari disfunzionali che sfociano in un aumento di peso e, in alcuni casi, in obesità. La risposta a stimoli emotivi, sia negativi che positivi, tramite il cibo, può iniziare nella prima infanzia e persistere nell’età adulta. Dell’Osso mette in evidenza che la prevalenza dell’emotional eating negli Stati Uniti si attesta intorno al 38% degli adulti, con un 49% di questi che ricorre a questa strategia settimanalmente. I cibi più frequentemente associati a questa modalità di consumo sono quelli ad alto contenuto energetico e poveri di nutrienti, che offrono una gratificazione immediata.
Tuttavia, il sollievo momentaneo fornito dal cibo può condurre a un aumento del disagio emotivo e, di conseguenza, a un intensificarsi della fame emotiva. Questo processo crea un ciclo di automedicazione che, sebbene possa sembrare una soluzione a breve termine, porta a sentimenti di colpa e peggioramento del benessere psicologico.
Riconoscere e gestire la fame emotiva
È cruciale che genitori, educatori e professionisti della salute siano formati per riconoscere i segnali della fame emotiva. La consapevolezza delle modalità adattive e maladattive di consumo del cibo è fondamentale per la prevenzione di disturbi alimentari e per promuovere una relazione sana con il cibo. Ecco alcune strategie chiave per affrontare la fame emotiva:
- Educazione alimentare: fornire informazioni sui cibi sani e sull’importanza di una dieta equilibrata;
- Gestione dello stress: insegnare tecniche di rilassamento e gestione delle emozioni;
- Supporto multidisciplinare: collaborare con psicologi, nutrizionisti e pediatri per un approccio integrato.
Con l’aumento della consapevolezza su questo tema, è possibile non solo migliorare la qualità della vita dei giovani, ma anche ridurre l’incidenza dell’obesità e delle malattie ad essa correlate nella popolazione generale.