Il virus Marburg è stato rilevato per la prima volta nel 1967 appunto a Marburg, in Germania. Si tratta di un cugino stretto dell’Ebola, altamente mortale e trasmesso probabilmente dai pipistrelli, ma che al contrario dell’Ebola agisce sia sugli umani che sui primati non umani.
Marburg è una febbre emorragica che al momento del suo rilevamento non aveva infettato molte persone, ma negli ultimi anni in Africa si sta riscontrando un numero preoccupante di casi infetti. Il virus provoca una febbre alta, vomito, diarrea e, in alcuni casi più gravi, perdita di sangue dagli orifizi. Si diffonde attraverso il contatto diretto con sangue o fluidi corporei.
Per questa malattia non esiste ancora una cura certa, anche se alcuni pazienti sottoposti ai test sperimentali hanno mostrato risposte positive. Tuttavia, perché una cura diventi verificata, occorre testare i vaccini sulle persone all’interno dei focolai, e ciò non è ancora avvenuto. Il dottor John Amuasi della Kwame Nkrumah University of Science and Technology in Ghana sostiene che l’OMS non sia rapido nella ricerca, e richiede scorte di vaccini e ricercatori attrezzati per gestire la situazione.
I focolai principali sono due: il primo in Tanzania, con due persone isolate in quarantena, l’altro in Guinea Equatoriale, ma non sono stato diffusi numeri precisi.
Nel primo caso l’epidemia pare meglio controllata, in quanto i casi sono stati meglio isolati e i contatti rintracciati. In Tanzania lo scoppio del virus è stato rilevato a marzo, ed è stata dichiarata la morte di 5 persone (tra cui un operatore sanitario). La notizia, dunque, risulta fresca, e da marzo non sono stati dichiarati altri casi di decesso. Tuttavia, in Tanzania il periodo di incubazione è di tre settimane, quindi si deve considerare l’epidemia ancora attiva.
Nel secondo caso la risposta non è altrettanto positiva, e si teme che l’epidemia possa diffondersi rapidamente. In Guinea il virus è scoppiato a gennaio ed è stata segnalata la morte di 9 persone (certi che si trattasse del Marburg), e la morte di altre 20 persone, per le quali non si può assicurare che la causa sia la stessa.
Fattore positivo è che a seguito del COVID-19 i paesi africani hanno migliorato la propria capacità di gestione e sorveglianza delle malattie infettive, quindi è più facile rintracciare i casi infetti da Marburg. Però alcuni ricercatori hanno dei dubbi sulle modalità con cui questo virus si diffonde. Secondo la dottoressa Nancy Sullivan del National Emerging Infectious Diseases Laboratories di Boston, l’aumento dei casi potrebbe essere dovuto al cambiamento climatico, che influisce sul comportamento sia animale sia umano.
La ricercatrice ha progettato, assieme al National Institute of Allergy and Infectious Diseases, un vaccino che ha già mostrato risultati promettenti nella fase 1, e i test stanno continuando. Stando all’OMS pare che la sperimentazione attiva di questo e altri vaccini nei focolai interessati, veda qualche problema: bisogna stringere accordi legali con i paesi africani e alcuni governi, come quello della Guinea Equatoriale, sono piuttosto opachi.
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