L’ex presidente Silvio Berlusconi è morto questa mattina alle 9.30 al San Raffaele di Milano. Il leader di Forza Italia era ricoverato da venerdì scorso per accertamenti legati alla patologia di cui soffriva da tempo: la leucemia mielomonocitica cronica, che gli ha causato complicazioni, tra cui una polmonite.
La leucemia mielomonocitica cronica (LMMC) è la più frequente tra le sindromi mielodisplastico-mieloproliferative ed è caratterizzata da un numero elevato di monociti, globuli bianchi. Come spiegano gli esperti: “Compare solitamente in età avanzata e può presentarsi in una forma displastica, in cui prevalgono anemia e neutropenia, oppure in una forma proliferativa”, “con un eccesso di monociti nel sangue e nel midollo, e un numero variabile di cellule immature“, i cosiddetti blasti.
La patologia che ha colpito Silvio Berlusconi è una forma di cancro del sangue, non classificata tra le forme più gravi ed è trattabile con un tipo di chemioterapia di ultima generazione che agisce sul Dna. Livio Pagano, direttore di ematologia geriatrica del policlinico Gemelli di Roma, aveva spiegato che “si tratta di una sindrome mielodispastica e di una forma di leucemia meno aggressiva rispetto a quella acuta“. “In questo tipo di emopatie le sindromi mielodispastiche sono condizioni pre-leucemiche”.
“I pazienti con leucemia, specialmente se in avanti con gli anni, possono sperimentare conseguenze negative associate alla malattia”, afferma Fabrizio Pane, professore ordinario di Ematologia e Direttore di Ematologia e Trapianti presso l’Università Federico II di Napoli e ricercatore presso l’Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma (AIL). “Spesso quindi si verificano complicanze che possono compromettere le condizioni dei soggetti in cura“.
“Le forme acute tendono a essere meno responsive ai trattamenti, specialmente nelle persone anziane, la cui efficienza di rigenerazione dei tessuti risulta ridotta rispetto ai soggetti giovani. In generale, le neoplasie del sangue costituiscono circa il 15 per cento dei tumori umani, ma alcune forme possono essere particolarmente rare“, continua il ricercatore.
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