La leucemia linfoblastica acuta, spesso indicata anche con la sigla LLA, è un tumore del sangue che trae origine da quelli che sono i progenitori dei linfociti, i quali sono un particolare tipo di globuli bianchi.
Si tratta, dunque, di un tipo di tumore particolare e che può colpire gli esseri umani in diverse fasi della loro vita.
Cerchiamo di conoscere meglio questa patologia, indagando quali siano le cause scatenanti e quali i sintomi più frequenti, senza tralasciare le possibili cure.
Leucemia linfoblastica acuta, le cause all’origine
La leucemia linfoblastica acuta si caratterizza per un accumulo di blasti (delle cellule, ndr) nel midollo osseo e nel sangue, oltre che in vari altri organi.
Viene definita “acuta” in quanto tale malattia progredisce davvero velocemente, provocando repentini peggioramenti in chi ne è affetto.
Il motivo è da ritrovare nell’errata azione dei linfociti.
Essi sono le cellule del sistema immunitario che hanno il compito di sorvegliare l’organismo e attivare le difese in caso di attacco da parte di agenti esterni, come i microorganismi, o interni, come le cellule tumorali.
Tenendo conto anche della risposta che essi sono in grado di attivare, i linfociti vengono quindi suddivisi in linfociti B e linfociti T.
Nei soggetti affetti da leucemia linfoblastica acuta sono proprio i linfociti B o T ancora in uno stato immaturo ad andare incontro a una trasformazione tumorale.
Ciò si verifica in quanto i vari processi che portano alla maturazione di un linfocita adulto si bloccano e la cellula comincia a riprodursi sempre più velocemente, finendo con l’invadere sia il midollo osseo che il sangue.
Questa produzione incontrollata può poi raggiungere anche i linfonodi, oltre che la milza, il fegato e il sistema nervoso centrale.
Ne deriva l’evoluzione della LLA, con relativi sintomi e complicazioni.
Va detto che la leucemia linfoblastica acuta è una malattia relativamente rara.
In Italia i dati parlano di circa 1,6 casi ogni 100.000 uomini e 1,2 casi ogni 100.000 donne, numeri che corrispondono ogni anno a circa 450 nuovi casi per quanto riguarda i maschi e 320 per le femmine.
La LLA è, invece, il tumore più frequente in età pediatrica, secondo quanto riportato dall’AIRC.
Esso rappresenta, infatti, l’80% delle leucemie e il 25% di tutti i tumori diagnosticati in ambito medico tra gli zero e i 14 anni di vita.
La fascia d’età più colpita è quella compresa tra i 2 e i 5 anni, mentre il 50% dei casi totali viene diagnosticato solitamente entro i 29 anni di età.
Tra i soggetti più a rischio ci sono coloro che si sono esposti a delle radiazioni (radioterapia compresa, ndr) o ad alcune sostante chimiche come il benzene (componente naturale del petrolio che si può ritrovare nel fumo delle sigarette e in alcuni pesticidi, ndr).
Come specificato in precedenza, maggiormente esposti sono i bambini in età pediatrica, soprattutto di sesso maschile, oltre che quei soggetti in cui si sono sviluppate delle sindromi ereditarie legate ad alcune anomalie genetiche (es: sindromi di Down, di Klinefelter e di Bloom, ndr).
Attualmente non esistono invece delle prove che dimostrano che la leucemia linfoblastica acuta possa essere trasmessa direttamente su base ereditaria.
In ambito medico, le diverse forme di LLA vengono classificate in base alle caratteristiche proprie dei linfociti malati.
Secondo quanto stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (la OMS, ndr), si parla quindi di LLA-B e LLA-T, in relazione al fatto che a essere coinvolti siano i linfociti B o T.
Questi due macrogruppi comprendono poi al loro interno numerosi sottogruppi, ognuno collegato alle diverse anomalie genetiche che caratterizzano le cellule leucemiche.
Al momento, è stato notato come l’80% delle forme di LLA abbia origine dai linfociti B, mentre il 20% dai linfociti T.
Sintomi e cure
I primi sintomi che accompagnano la comparsa della leucemia linfoblastica acuta sono stanchezza, febbre e perdita di appetito.
Essi generalmente si manifestano con rapidità e possono essere seguiti da un senso di spossatezza, pallore dovuto all’anemia, infezioni legate alla riduzione dei globuli bianchi normali e sanguinamenti dovuti alla carenza di piastrine.
Quando la LLA inizia a raggiungere vari organi, sottoponendosi a esami specifici, è possibile notare un ingrossamento del fegato, della milza o dei linfonodi.
Mal di testa e sintomi neurologici indicano, invece, che la malattia ha raggiunto anche il sistema nervoso.
Purtroppo, dal momento che non si conoscono ancora dettagliatamente quali siano le cause alla base della leucemia linfoblastica acuta, non è possibile applicare un’efficace strategia di prevenzione.
Un consiglio da seguire è sicuramente quello di esporsi il meno possibile a radiazioni e sostanze chimiche, così da ridurre le probabilità di sviluppare la LLA.
La malattia viene diagnosticata da un medico specialista attraverso un’analisi dei sintomi e dei segnali clinici, oltre che per mezzo di esami specifici di approfondimento.
Il primo passo è l’effettuazione di un emocromo, uno degli esami del sangue più comuni.
Può seguire una visita ematologica e un’eventuale valutazione del midollo osseo, oltre che uno studio dell’immunofenotipo.
Per stabilire il sottogruppo a cui appartiene la LLA da cui si è colpiti serve poi effettuare una caratterizzazione genetico-molecolare delle cellule tumorali.
La rachicentesi permette, invece, di verificare se la malattia ha raggiunto persino il sistema nervoso centrale, esaminando il fluido cerebrospinale.
Per quanto riguarda le cure, la scelta del trattamento della leucemia linfoblastica acuta varia in base alle singole caratteristiche del paziente coinvolto e della specifica malattia.
Fondamentale è agire con tempestività, vista l’azione rapida di tale disturbo.
Il principale trattamento è la chemioterapia, con tipologie e dosaggi dei farmaci scelti in base allo stato del paziente.
Solitamente il percorso chemioterapico per contrastare la LLA prevede quattro fasi e ha una durata di circa due anni.
La prima fase è l’induzione, seguita poi dal consolidamento, dalla re-induzione e dal mantenimento.
In tutte queste fasi, al fine di evitare che le cellule leucemiche invadano il sistema nervoso centrale, è necessario che la somministrazione della chemioterapia avvenga direttamente nel liquido cerebrospinale, per mezzo di punture lombari.
Un trapianto di cellule staminali emopoietiche è, poi, un’ulteriore via percorribile nei casi più gravi, quelli in cui il paziente non risponde alla chemioterapia di induzione o presenta delle recidive a distanza di pochissimo tempo dal trattamento.
Altra terapia possibile è quella mediante la somministrazione di farmaci a bersaglio molecolare, i quali possono sostituirsi alla chemioterapia in alcuni casi.
Altre cure sono poi in fase di studio e sviluppo.
L’insieme di questi trattamenti ha portato ad alzare il tasso di remissione a lungo termine negli adulti al 55/70%.
Nei bambini, una completa guarigione si ottiene invece nell’80/85% dei casi.