Il 15 aprile 1923, quasi 100 anni fa, per la prima volta al mondo veniva messa in commercio l’insulina, scoperta dai medici canadesi Frederick Grant Banting e Charles Herbert Best due anni prima, nel 1921. Questo è un farmaco essenziale per i diabetici, il cui fabbisogno è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni per via di un’esplosione di casi dovuti, in parte, ad un crescente aumento dell’obesità, e al diffondersi di scorretti stili di vita. I medici già parlano di ‘epidemia’ di diabete, e della carenza proprio dell’insulina per molti pazienti. Difficoltà che, come spesso accade, si riscontrano ancora di più nei Paesi poveri. Nel sangue, la mancanza di insulina, ormone di natura proteica, porta a sviluppare il diabete di tipo 1, e il diabete di tipo 2.
Questo si manifesta con l’iperglicemia, ovvero un elevata concentrazione di zuccheri nel sangue: nel diabete di tipo 1, l’insulina rappresenta l’unica terapia salvavita; nel tipo 2, il trattamento con l’insulina è necessario in un terzo dei casi, circa. Tuttavia, se nel 2030 si attendono 511 milioni di diabetici di tipo 2, nel mondo il fabbisogno di insulina crescerà di oltre il 20% nei prossimi 12 anni. Per questo, secondo un recente studio su Lancet, metà dei pazienti che ne avrà bisogno rischia di restare senza medicinale.
Secondo Angelo Avogaro, presidente della Società italiana di diabetologia (Sid), “in alcune nazioni le insuline hanno oggi un costo eccessivo: il 75% dei malati di diabete negli Stati Uniti, ad esempio, è costretto a fare dei debiti per potersi garantire la terapia farmacologica e questo è inaccettabile. È dunque innanzitutto una questione di mercato”, ha dichiarato all’Ansa. Per Raffaella Buzzetti, presidente eletta della Sid, “l’insulina negli anni è migliorata tantissimo proprio grazie all’impegno delle industrie, arrivate a produrre molecole di insulina sempre più simili a quella umana“. In Italia, infatti, “grazie al Servizio sanitario nazionale possiamo erogarla gratuitamente a tutti i pazienti, ma purtroppo non è così nei Paesi meno ricchi, dove si registrano carenze o si ricorre a insuline di vecchia generazione meno efficaci.
Un segnale positivo arriva però proprio dagli Usa, dove nel 2022 le grandi aziende produttrici hanno deciso di ridurre i prezzi delle nuove insuline: questo fa ben sperare e l’impegno dell’Occidente più ricco dovrebbe essere quello di garantire l’invio di insulina innovativa a prezzi ridotti ai Paesi in via di sviluppo“.
A livello di cure, però, la ricerca ha fatto grandi passi in avanti, e si lavora a nuovi trattamenti. In “una decina d’anni sarà ad esempio possibile incapsulare cellule beta che producono insulina direttamente nel fegato o nell’addome. Queste potranno risultare irraggiungibili dalla risposta immunitaria e quindi il trapianto non presenterà più rischi di rigetto”, ha dichiarato Avogaro. Ci sono anche le insuline che, ad esempio, vengono iniettate e rispondono solo quando la glicemia aumenta: “Ciò ridurrà molto il rischio di ipoglicemia”. Per Buzzetti, traguardi “si sono ottenuti anche grazie ai nuovi farmaci che prevengono le complicanze cardiache e renali, che sono quelle più gravi nelle persone con diabete”.
Tuttavia, la prevenzione resta l’obiettivo primario: “Per il diabete di tipo 2, che rappresenta il 90% dei casi, bisogna incentivare gli screening estesi, ma anche per il diabete di tipo 1 la prevenzione diventa sempre più importante”. L’ultima novità, però, “arriva dagli Usa, dove lo scorso anno l’ente per i farmaci Food and drug Administration (Fda) ha approvato un nuovo anticorpo monoclonale che può essere somministrato per prevenire e allontanare l’insorgenza del diabete di tipo 1 nei bambini a rischio per familiarità”, ha concluso Buzzetti.
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