Nel nostro paese cinque milioni di persone soffrono di incontinenza urinaria e due milioni di incontinenza fecale (con livelli di gravità variabile). Ma potrebbero essere di più perché molte persone, che magari soffrono di questo problema, per imbarazzo e vergogna non ne parlano con nessuno, neanche con il proprio medico di famiglia. Nonostante, nella maggior parte dei casi, di incontinenza si possa guarire. Ma dove si cura l’incontinenza? Per i pazienti il primo riferimento sono gli ambulatori dedicati: in queste strutture si può fare la riabilitazione del pavimento pelvico. Se il problema non viene risolto, si passa ai Centri monospecialistici di 2° livello (di urologia, ginecologia, fisiatria), con posti letto dedicati al ricovero. I casi più complessi di incontinenza, come quelli di origine neurologica, vanno trattati nei Centri di terzo livello, cioè strutture di neuro-urologia o unità pelviche.
“A causa della presenza non omogenea dei Centri nelle Regioni, i pazienti hanno serie difficoltà nell’accesso alle cure e spesso devono spostarsi, di solito dal Sud verso il Nord. Se fosse attivata la rete dei Centri in tutta Italia, sarebbe possibile non solo avere le stesse opportunità di accesso alle cure ma anche un continuo monitoraggio dei reali bisogni delle persone incontinenti”, ha spiegato al Corriere della Sera Pier Raffaele Spena, presidente di Fais, Federazione delle associazioni di incontinenti e stomizzati.
La disparità di trattamento tra pazienti (anche da un’Asl all’altra) riguarda anche ausili come cateteri, traverse, pannoloni. “Le procedure di acquisto dei presidi non consentono ancora la libera scelta in base ai bisogni specifici della persona – ha continuato Pier Raffaele Spena –. L’unico parametro resta il prezzo più basso, il che influisce sulla qualità del prodotto erogato. Come associazione di pazienti abbiamo sempre sostenuto il modello indicato nell’Accordo: consentire la partecipazione di diverse aziende in modo da garantire più ampia scelta di prodotti”. Chi soffre di incontinenza spesso deve ricorrere all’uso di assorbenti monouso, conosciuti come pannoloni. Si tratta di dispositivi medici che rientrano nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), le prestazioni che devono essere garantite a tutti dallo Stato, gratuitamente o pagando il ticket se dovuto. In pratica, i pannoloni devono essere forniti gratuitamente a chi ne ha diritto, ovvero chi ha una “grave incontinenza urinaria o fecale cronica”.
Non solo. Ci sono anche farmaci per l’incontinenza. A oggi la loro prescrizione a carico del Servizio sanitario nazionale è limitata ai pazienti con incontinenza urinaria “da urgenza”, nei casi in cui il disturbo minzionale sia correlato a patologie del sistema nervoso centrale (nota 87 Aifa). Negli altri casi, invece, si pagano.
C’è da dire, ed è importante ricordarlo, che l’incontinenza non interessa solo gli anziani: “Può manifestarsi nel bambino che la notte fa la pipì a letto (enuresi notturna), nell’atleta (da sforzo), nella donna in gravidanza o dopo il parto, in alcuni pazienti sottoposti a intervento chirurgico alla prostata, in persone con incontinenza di origine neurologica. Va data una risposta oggettiva a un sintomo che invece è soggettivo; per esempio, per una persona giovane o un atleta è gravissimo e inaccettabile perdere anche qualche goccia di pipì. In base a Linee guida internazionali per un trattamento ‘appropriato’, ovvero adeguato alle esigenze della persona incontinente, occorre tener conto del tipo di incontinenza e della gravità, della sua capacità motoria, degli stili di vita, degli eventuali farmaci diuretici che assume”, ha dichiarato, sempre al Corriere della Sera, Stefania Chierchia, medico urologo presso la Struttura dipartimentale di Neuro-urologia dell’ospedale CTO-Unità spinale dell’Azienda ospedaliera universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino.
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