Hikikomori, in Italia 54 mila adolescenti chiusi in casa

Circa 54mila adolescenti italiani si definiscono hikikomori. L’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Ifc) ha condotto il primo studio nazionale volto a fornire una stima quantitativa dell’isolamento volontario nella popolazione adolescente, noto ai più come il fenomeno hikikomori.

Si tratta di un termine giapponese che in italiano si può tradurre con ritirati sociali, il quale sta a indicare la tendenza, nei giovani e giovanissimi, di smettere di uscire di casa, frequentare la scuola e amici, per chiudersi in casa e limitare al minimo i rapporti con l’esterno, mantenendo i contatti prevalentemente attraverso Internet.

Il fenomeno è ora oggetto di uno studio promosso dal Gruppo Abele in collaborazione con l’Università della Strada, volto a definire una prima stima quantitativa attendibile.

Wokan

Ragazzo seduto solitario davanti a un muro
Foto | Pixabay @Wokandapix

Lo studio nel dettaglio

La ricerca ha preso le mosse dallo studio ESPAD Italia (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs – condotto annualmente dal Cnr-Ifc rispetto al consumo di sostanze psicoattive -, coinvolgendo un campione di oltre 12.000 studenti rappresentativo della popolazione studentesca italiana fra i 15 e i 19 anni.

I ragazzi sono stati intervistati attraverso un apposito set di domande volte a intercettare sia i comportamenti che le loro cause percepite e i risultati si basano sull’autovalutazione dei partecipanti stessi.

“Il 2,1% del campione attribuisce a sé stesso la definizione di hikikomori: proiettando il dato sulla popolazione studentesca 15-19enne a livello nazionale, si può stimare che circa 54mila studenti italiani di scuole superiore si identifichino in una situazione di ritiro socialeafferma Sabrina Molinario, ricercatrice del Cnr-Ifc.

Questo dato è confermato dalle risposte sui periodi di ritiro effettivo: il 18,7% degli intervistati afferma di non essere uscito per un tempo significativo, escludendo i periodi di lockdown, e di questi l’8.2% non è uscito per un tempo da 1 a 6 mesi e oltre: in quest’area si collocano sia le situazioni più gravi (oltre 6 mesi di chiusura), sia quelle a maggiore rischio (da 3 a 6 mesi).

Le proiezioni ci parlano di circa l’1,7% degli studenti totali (44.000 ragazzi a livello nazionale) che si possono definire Hikikomori, mentre il 2,6% (67.000 giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo.

L’età che si rivela maggiormente a rischio per la scelta di ritiro è quella che va dai 15 ai 17 anni, con un’incubazione delle cause del comportamento di auto-reclusione già nel periodo della scuola media.

Le differenze di genere si rivelano nella percezione del ritiro – i maschi sono la maggioranza fra i ritirati effettivi, ma le femmine si attribuiscono più facilmente la definizione di Hikikomori – così come nell’utilizzo del tempo, con le ragazze più propense al sonno, alla lettura e alla tv, mentre i ragazzi al gaming online.

Ragazzi che giocano ai videogiochi
Foto | Unsplash @AlexHaney

Fra le cause dell’isolamento, assume un peso determinante il senso di inadeguatezza rispetto ai compagni. Sembrerebbe infatti che l’aver subito episodi di bullismo, contrariamente a quanto si possa ritenere, non è fra le ragioni più frequenti della scelta, mentre si evince una fatica diffusa nei rapporti con i coetanei, caratterizzati da frustrazione e autosvalutazione.

Un altro dato importante riguarda la reazione delle famiglie: più di un intervistato su 4, fra coloro che si definiscono ritirati, dichiara che i genitori avrebbero accettato la cosa apparentemente senza porsi domande; il dato è simile anche quando si parla degli insegnanti.

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