Balbuzie, dislessia, discalculia, disfagia, disturbo primario del linguaggio, disortografia, ma anche disturbi di linguaggio acquisiti causati da ictus, prolungata degenza in terapie intensive, eventi neurologici degenerativi. Questi sono solo alcuni dei problemi che in tutte le età della vita richiedono l’intervento del logopedista, il professionista sanitario specializzato nella prevenzione, nella cura e nella riabilitazione di tutte le funzioni, comprese quelle cognitive, implicate nella comprensione e nella produzione del linguaggio, in età evolutiva, adulta e geriatrica.
Oggi, 6 marzo, si celebra la Giornata europea della logopedia, che vede questo anno dedicato al valore aggiunto dei logopedisti in area critica, dalle terapie intensive alle stroke unit.
Dai neonati ai centenari, la logopedia può intervenire per curare moltissimi disturbi, ma spesso è sottovalutato il suo ruolo in area critica. Come sottolineato in una nota della Federazione logopedisti italiani (Fli), dopo un ricovero in terapia intensiva il 62% dei pazienti ha difficoltà a deglutire, non riesce a mangiare e parlare come prima e in tutti si manifestano difficoltà di comunicazione connesse all’intubazione e alla sedazione o alle malattie di cui si soffre. Inoltre, il 30% pazienti colpiti da ictus manifesta problemi di linguaggio importanti come l’afasia, mentre nelle Terapie intensive neonatali sono in aumento costante i ricoveri dei bambini che richiedono una valutazione e un monitoraggio della possibilità di nutrirsi per bocca. In tutte queste situazioni è decisivo l’intervento dei logopedisti specializzati nella valutazione funzionale e della riabilitazione in caso di disturbi della deglutizione, della comunicazione e del linguaggio. In tutta Italia, però, come sottolineato dalla Fli si contano solamente 60 professionisti impegnati in area critica, spesso peraltro per consulenze in caso di necessità e non come parte integrante del team.
Una carenza emersa in modo decisivo durante la pandemia di Covid-19 (in cui è stato registrato un incremento sensibile del numero dei pazienti ricoverati in terapia intensiva), che ha acceso i riflettori sull’importanza di creare un percorso strutturato per i pazienti di area critica, per esempio per migliorare la comunicazione, ridurre il disorientamento spazio-temporale o monitorare il rischio di aspirazione e polmonite ab ingestis.
“Il logopedista, una figura chiave anche nei reparti per acuti, dovrebbe perciò far parte dell’equipe di terapia intensiva”, ha sottolineato Tiziana Rossetto, professoressa di Logopedia e presidente della Federazione Logopedisti Italiani. In particolare, è fondamentale l’intervento del logopedista per ridurre la probabilità di disfagia o risolverla perché, come ha spiegato Raffaella Citro, logopedista delegata della Fli per la European Speech And Language Therapy Association (Esla) e coordinatrice della Giornata Europea 2023, “la disfagia si associa a tempi più lunghi prima di tornare ad alimentarsi per via orale, con un aumento del rischio di malnutrizione e disidratazione. Aumentano anche la durata del ricovero e il rischio di polmoniti, di reintubazione e di mortalità, soprattutto nei pazienti più anziani“.
Il logopedista si è rivelato di grande aiuto anche nelle Terapie Intensive Neonatali, per comprendere “se e quando il piccolo possa deglutire e alimentarsi da solo oppure se abbia necessità di una nutrizione enterale”. Ma anche nel trattamento dei pazienti con difficoltà di comunicazione e linguaggio. “Può accadere nelle Terapie Intensive, perché a causa della sedazione o delle patologie associate spesso i pazienti sono disorientati, confabulanti, hanno episodi di agitazione psicomotoria, o anche in Unità Spinali o Stroke Unit dove sono ricoverate persone con danni neurologici che possono avere intaccato le capacità di comunicazione, verbale e non verbale“, ha precisato Cristina Reverberi, Logopedista di Area critica e Vicepresidente Albo Nazionale Logopedisti, per poi concludere: “Il logopedista, come professionista abilitato all’abilitazione e riabilitazione della comunicazione e del linguaggio verbale e non verbale, può perciò fare la differenza per questi pazienti, aiutandoli a recuperare una modalità di interazione con gli altri”.
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