L’aritmia più diffusa, che tende a crescere con l’aumentare dell’età, è la fibrillazione atriale. Si tratta, in sostanza, di un’alterazione del ritmo cardiaco, che interessa agli atri del cuore e che rende il battito cardiaco molto rapido e irregolare. Ma cosa caratterizza la fibrillazione atriale? Una conduzione anomala degli impulsi di contrazione cardiaca. A causa di tutto questo le pareti degli atri del cuore subiscono continue e incessanti sollecitazioni. Tutto ciò si ripercuote negativamente anche sull’attività dei ventricoli e sul conseguente flusso di sangue pompato dal cuore nel circolo sanguigno. Anche le cause sono diverse. Tra queste, malattie e sofferenze del cuore (le valvulopatie, la cardiopatia reumatica o l’infarto del miocardio) o anche l’ipertensione, l’ipertiroidismo, il diabete e il consumo eccessivo di sostanze alcoliche o di certi farmaci o l’assunzione di droghe e l’accanito tabagismo. E può verificarsi anche in seguito a condizioni come avvelenamento da monossido di carbonio; apnea ostruttiva del sonno.
I sintomi
I sintomi principali della fibrillazione atriale consistono in cardiopalmo (o palpitazione), vertigine, dolore toracico e dispnea. Per la diagnosi di fibrillazione atriale, sono fondamentali una valutazione cardiologica, l’elettrocardiogramma, l’ecocardiogramma, la radiografia del torace e gli esami del sangue. È un’aritmia che, come già detto, aumenta con l’età. Ne esistono di diversi tipi. Sono il tipo parossistico, il tipo persistente e il tipo permanente. Il termine parossistica indica la comparsa improvvisa di questa forma di fibrillazione atriale. È un’aritmia che ha caratteri particolari, che la distinguono dagli altri due tipi: è ad altissima frequenza (superiore ai 140 battiti per minuto), non è necessariamente correlata ad altre patologie (cardiache e non) e ha carattere transitorio. Inoltre, questa forma raramente richiede trattamenti terapeutici specifici, in quanto tende ad esaurirsi da sola. La sua durata è contenuta: può andare da pochi minuti a qualche giorno (in genere, non supera le 48 ore). Invece, per quella persistente si intende, invece, una forma di fibrillazione atriale che non si risolve in tempi brevi (in assenza di cure, dura più di sette giorni). In questo caso ci vuole un trattamento specifico per la sua risoluzione e si caratterizza per una frequenza cardiaca leggermente inferiore (tra i 100 e i 140 battiti per minuto). Infine, quella di tipo permanente indica una fibrillazione atriale è continuamente presente, anche a dispetto di un trattamento antiaritmico.
Le complicazioni
La presenza di fibrillazione atriale può sfociare in serie complicanze, come l’ictus ischemico cerebrale e l’insufficienza cardiaca (il cuore non svolge in maniera appropriata la sua funzione). Per quanto riguarda il primo caso, tutto è dovuto perché la fibrillazione atriale rende il flusso sanguigno più turbolento. E questo processo favorisce le lesioni della parete vascolare e conseguentemente la formazione di trombi, che oltre a occludere i vasi, possono generare, per sfaldamento di una loro parte, degli emboli. Quest’ultimi, viaggiando attraverso la rete vascolare, possono raggiungere il cervello e impedire l’irrorazione sanguigna regolare di aree cerebrali più o meno estese. Questo è l’ictus. E il rischio è maggiore quando alla fibrillazione atriale si alternano anche episodi di flutter atriale o quando, dopo un periodo sufficientemente prolungato di battiti ad alta frequenza, c’è un ripristino del ritmo sinusale e della normale attività contrattile atriale.