La proposta, per come è stata presentata, appare ragionevole e condivisibile. La necessità di una maggiore trasparenza sull’origine degli alimenti, specialmente per quelli destinati ai più piccoli, è una questione importante.
Anche sul piano scientifico, esperti come Ruggiero Francavilla, Professore Ordinario di Pediatria presso il Dipartimento Interdisciplinare di Medicina (DIM), concordano sull’importanza di trattare l’alimentazione nei primi anni di vita con estrema cautela. Francavilla ha ribadito che un bambino nei primi mille giorni “non può e non deve essere considerato alla stregua di un piccolo adulto”, richiamando l’attenzione sulla necessità di alimenti sicuri, tracciabili e adatti alle specifiche esigenze nutrizionali.
Nonostante ciò emergono alcune criticità analizzando i dettagli della proposta, soprattutto riguardo le dichiarazione dei suoi promotori: Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, ha dichiarato che “per il cibo destinato ai bambini da 0 a 3 anni, origine italiana significa non solo più qualità, ma anche più sicurezza”.
Questa affermazione, per quanto comprensibile dal punto di vista promozionale, solleva alcune domande. Perché assumere che l’origine italiana garantisca automaticamente standard migliori? È davvero opportuno trasformare una proposta condivisibile, basata su principi di trasparenza e sicurezza alimentare, in una sorta di campagna in favore del prodotto italiano, escludendo implicitamente altre realtà europee che potrebbero rispettare standard altrettanto elevati?
Un altro aspetto delicato riguarda il coinvolgimento di aziende private. Luigi Scordamaglia, Amministratore Delegato di Filiera Italia, ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra Coldiretti, la filiera agroalimentare italiana e i pediatri, aggiungendo che “questa sinergia è resa possibile anche da partner come Plasmon, che da anni ha puntato sulla filiera italiana”.
Se da un lato è legittimo che un’azienda privata sostenga iniziative che promuovono la qualità e la sicurezza alimentare, dall’altro emerge il rischio di una sovrapposizione tra interesse pubblico e privato. Inserire un attore commerciale in un contesto legislativo potrebbe far sorgere dubbi sull’obiettività dell’iniziativa.
Questa ambivalenza porta a riflettere su un aspetto fondamentale: il valore universale della trasparenza alimentare non dovrebbe essere legato a specifici interessi nazionali o di mercato. Garantire che tutti i cittadini europei abbiano accesso a informazioni chiare sull’origine degli alimenti è un obiettivo che va oltre le logiche promozionali. Rendere obbligatoria l’indicazione dell’origine non dovrebbe essere trasformato in una “battaglia di bandiere”, ma mantenuto come un principio neutrale, finalizzato esclusivamente alla tutela della salute e della consapevolezza del consumatore.
Infine, va ricordato che la proposta si inserisce in un contesto più ampio di crescente attenzione verso la sicurezza alimentare e la sostenibilità. La tracciabilità degli alimenti, specialmente per i bambini, è fondamentale non solo per proteggere la loro salute, ma anche per favorire una maggiore fiducia nel sistema alimentare europeo. Tuttavia, è essenziale che questa iniziativa rimanga coerente con i suoi obiettivi primari e non rischi di essere strumentalizzata per altri fini, siano essi di natura commerciale o politica.
In conclusione, la proposta di legge è sicuramente valida e necessaria, ma deve mantenere un focus chiaro: garantire la sicurezza e la trasparenza per tutti, senza ambiguità o conflitti di interesse.