L’emetofobia è la paura di vomitare o di vedere vomitare qualcuno. Un disturbo che può manifestarsi tra i bambini, ma anche in età adulta e che non va, in qualsiasi caso, preso sotto gamba. Non affrontarla, infatti, può portare in dote diversi problemi, soprattutto a livello sociale. Aver paura di vomitare significa spesso, per esempio, aver paura ad uscire a cena in un locale pubblico. O, ancora, l’emetofobia può frenare la volontà di maternità. L’idea della nausea provocata dalla gravidanza potrebbe diventare un freno per il genitore.
Ma com’è possibile capire se si è affetti da emetofobia? I fattori di cui tenere conto li abbiamo, in parte, già nominati. Chi deve fare i conti con l’emetofobia, per esempio, preferisce mangiare a casa, per evitare di correre il rischio di vomitare in un locale. Allo stesso tempo, all’emetofobia può essere collegato un controllo compulsivo e insistente del cibo prima di consumarlo. Il rapporto con il cibo è, in generale, complesso in caso di presenza di questa fobia e può, quindi, portare anche a comportamenti alimentari scorretti. Non va, però, confusa l’anoressia con l’emetofobia. Nel primo caso non si mangia perché spinti dal desiderio di magrezza, nel secondo perché spaventati dalla possibilità di poter vomitare.
In aggiunta, un emetofobico con ogni probabilità ridurrà al minimi gli spostamenti non necessari. Eviterà viaggi e soprattutto mezzi pubblici. In generale, ridurrà il più possibile i momenti di interazione sociale mettendo a rischio, nei casi più complessi, anche il posto di lavoro.
Non esiste, al momento, una causa scatenante certa per l’emetofobia. Il meccanismo dell’emetofobia è soggetto di molteplici ipotesi da parte della letteratura scientifica. Per intederci, sono due le macroaree prese in considerazione:
Come spesso accade in questi casi, i percorsi per affrontare l’emetofobia sono due. Da una parte un approccio psicoterapeutico e dall’altro un approccio farmacologico. Nel primo caso, l’obiettivo è la rieducazione del paziente a comportamenti funzionali al proprio quotidiano. Si cerca di raggiungere l’obiettivo attraverso una ristrutturazione dei suoi pensieri distorti e un allenamento ad affrontare il trigger della fobia. Nel secondo caso, che è molto raro poiché solitamente non si utilizzano farmaci per questo genere di disturbo, possono essere prescritti medicinali per disturbi d’ansia o attacchi di panico. In qualsiasi caso, l’eventuale percorso farmacologico deve sempre essere affiancato al percorso di psicoterapia.
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