È uno studio condotto per 18 anni dalla California University ed è stato fatto su oltre duemila soggetti
C’è uno studio, condotto per 18 anni dalla California University, che spiega come l’infiammazione cronica facilita il rischio di demenza e Alzheimer anche nei giovani. Esce su Neurology ed è stato ripreso dal Corriere della Sera: è stato condotto su oltre duemila soggetti. Forse questa scoperta può aiutare a capire perché in una ridotta percentuale di chi è colpito da malattia di Alzheimer (5-10% del totale) questa demenza si sviluppa tra i 30 e i 60 anni, mentre nel 25% dei casi arriva solo dopo i 65 con un picco del 50% dopo i 90 soprattutto nelle donne.
Sempre come riporta il Corriere della Sera, ricavandoli dal database dallo studio CARDIA (acronimo di Coronary Artery Risk Development in Young Adults) che negli USA ha valutato il rischio coronarico in 5.115 giovani adulti, hanno arruolato per questo studio 2.364 soggetti con un’età compresa fra 24 e 58 anni che dopo una rivalutazione sono stati divisi in tre gruppi a seconda del livello di infiammazione che presentavano: elevata, moderata o stabilmente ridotta.
Controllati i risultati iniziali, a distanza di cinque anni tutti sono stati sottoposti a una batteria di test neuropsicologici per valutare le loro capacità di pensiero e di memoria: NSCT (Number Symbol Coding Task), RVLT (Rey Auditory Verbal Learning Test), DSST (Digit Symbol Substitution Test), MOCA (Montreal Cognitive Assessment) e SCWT (Stroop Interference Test). Ed ecco che nel gruppo di quelli con un basso grado di infiammazione è stata riscontrata una riduzione delle performance cognitive del 10%, nel gruppo con infiammazione media la riduzione era del 19% e del 21% in quelli con un’infiammazione elevata.
Così i ricercatori (con una valutazione che teneva conto di età, attività fisica e colesterolemia) hanno visto che su rapidità di pensiero e su funzioni esecutive incidono non solo i livelli d’infiammazione elevati, ma anche quelli moderati, in presenza dei quali le prestazioni sono quasi dimezzate rispetto a quelle che si osservano con livelli d’infiammazione bassi. Alle funzioni esecutive livelli di PCR più alti si associano a un rischio di scarse prestazioni aumentato del 36%.
Al Corriere della Sera, il Presidente della Società Italiana di Neurologia (SIN), professor Alessandro Padovani dell’Università di Brescia, ha commentato questo studio: “Per quanto negli ultimi anni si sia fatta sempre più strada l’idea del ruolo che la neuroinfiammazione gioca nella neurodegenerazione, non ci sono molti dati sul legame tra infiammazione periferica e decadimento cognitivo e, soprattutto, la ricerca si è focalizzata sugli anziani e su soggetti dementi, tralasciando popolazioni più giovani e cognitivamente normali”.
E ancora: “Invece quando si esplorano i determinanti del declino cognitivo è importante considerare le traiettorie del processo dementigeno fin dalle prime fasi della vita e il monitoraggio dell’infiammazione fatto dai colleghi californiani sottolinea l’importanza di considerare periodi temporali precoci attraverso semplici metodiche come questa. Questo approccio si può associare alla valutazione di altri marcatori immunitari in popolazioni selezionate che sta dando risultati incoraggiati e i progressi nella nostra capacità di misurare la funzione immunitaria a basso costo e su larga scala possono aiutare a chiarire queste relazioni trasformando sospetti in certezze”.
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