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Cos’è la sindrome di Calimero e come può essere gestita

Per sindrome di Calimero si indica un atteggiamento vittimistico che porta a vivere ogni evento in maniera ostile. Esattamente proprio come Calimero, il personaggio del cartone animato: chi presenta questa problematica tende a lamentarsi spesso, considerandosi vittima degli altri e delle circostanze. Un qualcosa che non fa proprio bene a noi stessi. Infatti, sentirsi in continuazione vittime delle circostanze, convinti che il mondo cospiri contro di noi, ci porta a percepire la vita come avversa, impedendoci di cogliere opportunità di crescita e cambiamento. È una sindrome, quella di Calimero appunto, che può caratterizzare alcuni periodi della nostra vita o indicare, più in generale, un modo proprio di alcune persone per affrontare la realtà. Chi riscontra questa problematica manifesta continue lamentele su se stesso e sugli altri, colpevolizzando per la propria condizione forze esterne a sé, come la sfortuna.

Appuntamento medico | pixabay @DarkoStojanovic

Come si manifesta?

Ci sono manifestazioni più o meno comuni a tutti coloro che hanno la sindrome di Calimero. Ci sono lamentele costanti allo scopo di richiamare compassione, più che elaborare soluzioni; si usa un filtro negativo nella lettura della maggior parte degli eventi; un senso di solitudine e incomprensione per la propria condizione; un overthinking e ruminazione riguardo eventi passati; uno scarso senso critico (le proprie idee difficilmente sono messe in dubbio accogliendo punti di vista diversi dal proprio); si prova invidia e frustrazione verso i successi e le condizioni di altre persone; c’è scarsa empatia e sensazione di essere sempre in credito di giustizia e riconoscimento; un senso di fallimento e sconfitta nel costante paragone con l’altro; una comunicazione manipolativa e basata sul senso di colpa; una deresponsabilizzazione su eventi passati, attribuendo la colpa a persone o circostanze al di fuori del proprio controllo, e tendenza a sottostimare la propria responsabilità nell’affrontare il presente.

Perché ci sentiamo delle vittime?

La tendenza a sentirsi vittima della sfortuna, del destino o di altre persone, è manifestata da chi è solito spiegare gli eventi della propria vita attribuendo colpe esterne a se stesso. Una condizione definita “locus of control”: in psicologia è la modalità con la quale un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti o azioni, oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà. In sostanza, chi possiede un locus of control interno vede se stesso come il principale artefice del proprio destino, collegando ciò che gli accade alle scelte effettuate personalmente. Dall’altra parte, chi ha un locus of control esterno tende a credere, invece, che gli eventi della propria vita siano determinati prevalentemente da fattori al di fuori del proprio controllo, come la sorte o le circostanze. Chi si percepisce come il principale responsabile degli eventi della propria vita è più incline a risolvere efficacemente i problemi, a gestire lo stress e a raggiungere la propria realizzazione. Al contrario, chi ha un locus of control esterno, come nel caso della sindrome di Calimero, può sentirsi spesso impotente, manifestando comportamenti passivi e umore depresso. E allora rischia di non raggiungere gli obiettivi prefissati, aumentando il senso di frustrazione.

Dottore | pixabay @valelopardo

Le ripercussioni

Parlare delle proprie emozioni, in alcuni casi, può dare conforto, creando un legame più profondo tra noi e l’interlocutore. Anche perché la sindrome di Calimero ha ripercussioni sull’autostima e sul senso di autoefficacia di chi ne soffre, con un impatto generale sulla sua salute mentale. La percezione delle ingiustizie subite focalizza rigidamente la persona su di sé e sulla propria condizione di vittima. Ma come si affronta? Come detto, la sindrome di Calimero spinge a non guardare i propri limiti e le proprie responsabilità e, di conseguenza, a non imparare dai propri errori. È, però, fondamentale ricordare che questa tendenza non è una condizione statica, destinata a restare immutata nel tempo, ma, piuttosto, di un’attitudine che può essere modificata e allenata, attraverso un lavoro di consapevolezza e azioni pratiche.

Attraverso la comprensione delle proprie abitudini mentali e il riconoscimento dei propri modelli di pensiero limitanti, sarà possibile iniziare un percorso di crescita orientato verso una maggiore flessibilità cognitiva e verso la creazione di una mentalità più resiliente. In questo processo di trasformazione, cercare supporto e costruire una rete di sostegno diventa un aspetto fondamentale: un percorso con un professionista della salute mentale potrebbe essere molto utile per imparare ad aprirsi senza limiti e favorire la costruzione di un reale senso di autoefficacia. Una volta superati i nostri limiti, tutto ci sembrerà più bello.

Salvatore Riggio

Lo sport nel cuore. Ho iniziato questo meraviglioso viaggio seguendo il calcio giovanile, per poi ritrovarmi a seguire "i grandi" e a scovare notizie sgomitando tra un avvenimento e un altro, cercando di andare sempre oltre a ciò che vediamo. La curiosità come fonte vitale, la passione come benzina. Senza tralasciare ciò che accade nel mondo, lontano da un campo di calcio.

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