Quando una persona arriva a chiedere aiuto a un terapeuta o a un servizio di salute mentale per un problema di dipendenza, molto spesso ha già subito dolorose perdite nella sua vita. Ancora troppo spesso, l’aspettativa è che qualcuno debba “toccare il fondo” prima che il trattamento possa funzionare. Ma questo è un falso mito che può avere conseguenze disastrose: a quel punto il danno è quasi sempre grave e la strada per il recupero molto difficile. In realtà, il momento migliore per ottenere aiuto è il prima possibile.
In un recente lavoro pubblicato sul Journal of American Medical Association alcuni degli autori di massimo riferimento sul tema delle dipendenze, argomentano la loro proposta di passare a un piano per una migliore individuazione e supporto di coloro che si trovano nelle prime fasi di un disturbo da uso di sostanze (DUS).
Un DUS è il risultato di un graduale danno dei circuiti cerebrali che controllano la sensibilità alla ricompensa, la motivazione, l’autoregolazione, gli stati emotivi negativi e la tolleranza allo stress. Tra coloro che iniziano il consumo di alcol o droghe, la progressione a Disturbo da uso di Sostanze di livello “grave” non è scontata.
L’adolescenza è un periodo particolarmente rischioso per il passaggio dall’uso al disturbo da dipendenza. Gli adolescenti a più alto rischio di transizione sono caratterizzati da fattori di rischio come: esordio precoce dell’uso, storia di eventi traumatici, storia familiare di consumo di sostanze e/o problemi di salute mentale.
Il Manuale diagnostico e statico dei disturbi mentali, conosciuto come DSM-5, utilizza 11 sintomi di uguale peso per definire i DUS lungo un continuum di gravità a 3 stadi. La dipendenza (intesa nel senso comune) è riservata ai DUS gravi (ovvero con 6 o più sintomi). Quelli con DUS da lieve a moderato conseguono 2-5 sintomi e secondo gli autori costituiscono una percentuale molto più ampia della popolazione adulta (13%) rispetto a quelli con DUS grave.
La diffusione del diabete ha reso necessario il ricorso a una strategia che ne consentisse la capillare prevenzione. Ciò è possibile ove si intervenga in una fase della storia clinica anteriore al diabete e che viene perciò definita “prediabete”. Questo esempio suggerisce il potenziale impatto di una strategia parallela per ridurre i problemi di dipendenza mediante sforzi più aggressivi per identificare la “pre-dipendenza”.
La diagnosi di DUS proposta dal DSM-5 già identifica secondo criteri precisi questa possibile “zona di confine”. Nel campo del DUS, lo screening precoce, un breve intervento e l’eventuale rinvio al trattamento vero e proprio hanno un potenziale enorme. L’identificazione della “pre-dipendenza” potrebbe motivare una maggiore attenzione ai rischi associati al disturbo da uso di sostanze in fase iniziale e aiutare a coordinare le politiche e le risorse sanitarie che sosterranno le misure di prevenzione e di intervento precoce.
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