La sindrome del colon irritabile interessa circa il 3-5% della popolazione ed è più frequente nelle donne e sotto i 50 anni di età. Si tratta di un disturbo caratterizzato da dolore addominale e alterazione della funzione intestinale. Tutto, purtroppo, amplificato da eventi stressanti a livello fisico (interventi chirurgici, malattie) e psichico (separazioni, lutti). Una volta veniva definita “colite spastica”, “colon irritabile” o “disturbo funzionale intestinale” ed è, appunto, un disturbo dell’asse cervello-intestino che si presenta con un dolore addominale, che migliora dopo l’evacuazione, associato ad alterazione della funzione intestinale, che si manifesta con stipsi, diarrea o un’alternanza delle due. È un disturbo determina un ampio ventaglio di sintomi, che hanno un impatto negativo sulla qualità della vita. Chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile spesso presenta anche sintomi di natura extra-intestinale, come: emicrania, ansia, depressione, fibromialgia, sindrome da fatica cronica, cistite e problemi nella sfera sessuale. Detto questo, si tratta di una malattia benigna, che non porta allo sviluppo di tumori e non è quindi correlata al cancro del colon-retto.
Le cause
Non ci sono alterazioni o lesioni a carico dell’intestino. Le cause sono molteplici e nello stesso individuo non è riconoscibile un singolo fattore scatenante. Da un lato ci sono fattori psico-sociali, cognitivi ed emotivi: a livello intestinale c’è il cosiddetto “secondo cervello”, che è in continua comunicazione con il nostro “primo cervello”. Per questo motivo, molti degli eventi stressanti a livello psichico si riflettono sull’intestino e viceversa (problemi addominali che causano stress psicologici). Dall’altro lato ci sono fattori biologici, come l’aumentata sensibilità viscerale, alterazioni della motilità intestinale, alterazioni del microbiota (disbiosi), infiammazioni e infezioni intestinali. Ma quali sono i sintomi? Si parla di intestino irritabile in presenza di dolore addominale ricorrente (almeno una volta a settimana negli ultimi tre mesi), insorto almeno sei mesi prima della diagnosi, associato a due o più dei seguenti criteri: correlato alla defecazione; associato a un cambiamento nella frequenza delle feci; associato a un cambiamento nella forma (aspetto) delle feci.
Le tipologie
Detto questo, vengono indentificate quattro sottotipi di sindrome dell’intestino irritabile a seconda del carattere della funzione intestinale: SII-variante stipsi: feci dure o caprine in almeno il 25% delle evacuazioni anormali; SII-variante diarrea: feci molli o liquide in almeno il 25% delle evacuazioni anormali; SII- variante mista: feci talvolta dure o caprine e talvolta molli o liquide. SII- non classificabile: non incontra i criteri precedentemente esposti. E possono esserci: evacuazione difficoltosa; muco nelle feci; gonfiore o distensione addominale. E, come accennato, anche sintomi di natura extra-intestinale: debolezza e affaticamento; emicrania; difficoltà di concentrazione; irritabilità; ansia; depressione; dolore alla schiena; dolore pelvico; dolore all’articolazione temporo-mandibolare; cistite e altri disturbi urinari; insonnia; fibromialgia; sindrome da fatica cronica; problemi sessuali.
Come curarla?
Ci vuole un’adeguata educazione alimentare e dello stile di vita. I pazienti dovranno evitare alcuni cibi. Come quelli contenenti zuccheri poco assorbibili e dal forte potere fermentativo, che richiamano acqua nell’intestino e sono difficili da digerire, che si associa a una significativa riduzione dei sintomi globali. In generale, sono questi i cibi che evocano i sintomi: grano; latte e latticini; legumi; alcuni tipi di frutta e verdura; frutta secca; bevande gassate. Inoltre, ci vuole una corretta idratazione e attività fisica appropriata. Sotto consiglio medico possono essere intraprese terapie farmacologiche a base di antispastici, procinetici o antidepressivi.