Chi ha l’emofilia può fare sport? Quel che bisogna sapere

Fare attività sportiva regolare è fondamentale per il benessere psicofisico di questi pazienti, ma occorrono politiche mirate e infrastrutture adeguate per garantire a tutti le stesse opportunità

Recentemente, un’indagine pubblicata sulla rivista International Scholars Journals ha riacceso l’attenzione sulla possibilità, e persino sul valore, della pratica sportiva per le persone affette da emofilia, una patologia ereditaria che comporta una carenza di alcuni fattori essenziali della coagulazione del sangue. Per i pazienti emofilici, storicamente lo sport ha rappresentato un rischio elevato, e di conseguenza veniva sconsigliato: il pericolo di emorragie legate a traumi e sforzi fisici era visto come una minaccia seria. Tuttavia, i progressi nella terapia sostitutiva hanno segnato un punto di svolta, rendendo possibile per molti pazienti l’inserimento dell’attività fisica nella loro quotidianità, con benefici rilevanti sia sul piano fisico che su quello psicologico.

L’emofilia è una condizione che colpisce circa 1 su 10.000 persone a livello globale, e in Italia esistono migliaia di persone affette, soprattutto da emofilia di tipo A e B. La terapia sostitutiva, che consiste nell’assunzione di farmaci contenenti i fattori di coagulazione mancanti, è oggi alla base del trattamento. Grazie a questa terapia, i pazienti possono evitare episodi di sanguinamento incontrollato e mantenere uno stile di vita più simile a quello delle persone non affette dalla patologia. È in questo contesto che lo sport ha acquisito un ruolo fondamentale, non più visto come un’attività proibita, ma come un’opportunità per migliorare la salute fisica, incrementare l’autostima e favorire l’inclusione sociale.

La pandemia e il ritorno delle limitazioni

Lo studio recentemente pubblicato analizza l’impatto della pandemia di COVID-19 sulla pratica sportiva dei pazienti emofilici, un aspetto cruciale per comprendere i cambiamenti che il settore sanitario e la vita di questi pazienti hanno subito negli ultimi anni. La pandemia ha sconvolto molti aspetti della routine quotidiana, e le attività sportive non hanno fatto eccezione. Con l’introduzione delle restrizioni e la chiusura di numerosi centri sportivi, il 27% dei pazienti emofilici coinvolti nell’indagine ha dichiarato di aver smesso di praticare sport, spesso senza riprenderlo una volta terminate le restrizioni.

Fare sport
Fare sport | Pixabay @Paperkites – Saluteweb

I dati rivelano un quadro preoccupante: la mancata attività fisica ha avuto impatti notevoli sul benessere generale dei pazienti. Circa il 10% degli intervistati ha dichiarato un peggioramento significativo della propria percezione di salute, correlato alla riduzione dell’attività fisica. Questo evidenzia quanto sia importante mantenere una routine sportiva anche per persone affette da condizioni croniche come l’emofilia. Il confinamento e la conseguente inattività hanno portato con sé un aumento di sentimenti negativi come l’ansia e la tristezza, fenomeni già comuni tra i giovani durante il periodo pandemico, ma aggravati dalla vulnerabilità legata alla malattia emorragica.

La pratica sportiva: un ponte verso la normalità

Tra gli intervistati, emerge un quadro in cui circa il 50% delle persone con emofilia pratica un’attività fisica moderata o intensa, con una percentuale del 40% che si dedica regolarmente a uno sport specifico. Gli sport più praticati includono il jogging, la ginnastica e la danza. Interessante notare che i giovani adulti sembrano essere i più coinvolti, mentre tra i pazienti pediatrici solo il 28% svolge attività fisica regolare, evidenziando un potenziale gap generazionale.

I benefici dell’attività fisica per questi pazienti sono molteplici e non si limitano al miglioramento della forza muscolare o della resistenza fisica. La possibilità di praticare sport senza rischi eccessivi contribuisce a una maggiore sicurezza in sé stessi e offre occasioni preziose per socializzare. Per i giovani in particolare, lo sport rappresenta un importante strumento per superare l’isolamento che spesso accompagna le patologie rare e croniche, facilitando la costruzione di reti sociali al di fuori dell’ambito strettamente sanitario.

Una strada ancora in salita

Nonostante i progressi degli ultimi decenni, resta ancora molto da fare per rendere la pratica sportiva accessibile e sicura per tutte le persone con emofilia. I dati emersi dall’indagine sottolineano la necessità di strategie mirate per incoraggiare e sostenere la partecipazione allo sport, specialmente tra i più giovani. Le autorità sanitarie e sportive italiane possono giocare un ruolo cruciale, collaborando per creare programmi sportivi inclusivi e promuovendo una maggiore consapevolezza sui benefici dello sport per la popolazione emofilica.

Fare attività sportiva regolare è fondamentale per il benessere psicofisico di questi pazienti, ma occorrono politiche mirate e infrastrutture adeguate per garantire a tutti le stesse opportunità. L’obiettivo è chiaro: trasformare lo sport in una normalità per chi vive con l’emofilia, superando pregiudizi e difficoltà logistiche per consentire a tutti di godere dei benefici di una vita attiva.

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