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Cadmio, cos’è e che legame ha con la demenza

L’area cerebrale più colpita è l’ippocampo, fondamentale per l’acquisizione dei ricordi e ciò spiegherebbe gli effetti deleteri del cadmio sulla memoria

Ci sono alcuni studi che analizzano il legame che ha il Cadmio con la demenza. Come riporta il Corriere della Sera, dal 2003 al 2007 lo studio americano Regards ha valutato oltre 30mila adulti bianchi e neri con almeno 45 anni d’età per catalogarne le differenze del rischio di ictus in termini etnici e geografici. Il successivo passo è quello di aver scelto 2.172 soggetti già passati al vaglio clinico per uno studio appena pubblicato su Neurology dai ricercatori di varie Università Usa diretti da Liping Lu della Columbia University che hanno evidenziato un’associazione fra inquinamento da cadmio, funzioni cognitive e memoria.

Sigaretta | pixabay @realworkhard

A quanto risulta da questo studio, l’area cerebrale più colpita è l’ippocampo, fondamentale per l’acquisizione dei ricordi e ciò spiegherebbe gli effetti deleteri del cadmio sulla memoria, la facoltà cognitiva più compromessa nella demenza.

Dove si trova il cadmio

In primis, per spiegare bene quello di cui si sta parlando, è giusto partire dal cadmio. Cos’è e dove si trova? Si tratta di un metallo pesante, tossico anche a dosi minime, diffuso dalle attività industriali e di agricoltura che si rintraccia nell’aria, nel cibo, nell’acqua e nel suolo. Viene assorbito per inalazione e soprattutto dalle sigarette. Come riporta sempre il Corriere della Sera, si accumula dentro di noi perché viene escreto solo in minima parte ed è causa di numerose malattie molte delle quali neurologiche perché può attraversare la barriera ematoencefalica accumulandosi nel cervello dove provoca stress ossidativo, neuro-infiammazione e apoptosi neuronale che portano a declino cognitivo.

Lo studio

Chiarite le cose, possiamo tornare allo studio preso in esame. Abbiamo parlato dei 2.172 soggetti scelti per lo studio. Si trattava di persone che avevano un’età compresa tra 64 e 73 anni, oltre la metà erano donne (54,8%) e i neri quasi un terzo (38.7%). Quando sono stati scelti, non dovevano presentare compromissione cognitiva né aver subito un ictus, oltre a non avere tracce di cadmio nelle urine. La raccolta dei loro dati, delle loro abitudini quotidiani e della loro storia clinica è stato fatto attraverso un’intervista telefonica computer-assistita. Inoltre, un questionario auto compilato dai pazienti ha fornito ulteriori informazioni sociodemografiche come età, genere, etnia, area di residenza, reddito, scolarità e eventuali fattori di rischio (fumo, alcol, sedentarietà, depressione, diabete).

Questo studio è durato 10 anni e in questo lungo arco di tempo, tutti i soggetti erano annualmente sottoposti ad appositi test neuropsicologici per controllare la loro funzionalità cognitiva nel tempo con particolare attenzione a memoria, apprendimento verbale e funzioni esecutive. Periodici campionamenti a digiuno delle urine verificavano l’eventuale presenza di cadmio.

I risultati dei test

Quindi, i soggetti con le maggiori concentrazioni di cadmio urinario sono risultati essere leggermente più anziani, forti fumatori, sottopeso, con ridotta scolarità, basso reddito e facevano poco esercizio fisico.

Sigaretta con posacenere | pixabay @NoblePrime

Come ha concluso il Corriere della Sera, ci sono anche delle sorprese, arrivate correlando le concentrazioni urinarie di cadmio ai risultati dei testi neuropsicologici: nei bianchi con le maggiori concentrazioni il rischio di compromissione cognitiva raddoppiava, mentre nei neri ciò non avveniva se non quando erano valutati con il test ECB (ma per il numero esiguo di soggetti tale risultato non è stato considerato significativo).

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Redazione Saluteweb

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