Quando la tecnologia riesce a fornire un valido supporto alla medicina, gli esiti positivi per i pazienti che beneficiano di questo binomio possono essere davvero fondamentali e determinanti.
È il caso di iCub, primo robot umanoide che ormai da qualche tempo viene impiegato efficacemente per aiutare i bambini con diagnosi di autismo durante il loro percorso di riabilitazione.
Si tratta di un progetto ambizioso e, soprattutto, virtuoso, il quale merita di essere conosciuto e capito più approfonditamente.
Il robot umanoide iCub è il frutto dello studio e del lavoro condotto dal dipartimento Social Cognition in Human-Robot Interaction dell’Istituto Italiano di Tecnologia e da un team del Centro Boggiano Pico di Genova, centro specializzato proprio nel trattamento dei disturbi del neurosviluppo dell’Opera Don Orione di Genova.
Si tratta di un androide dai tratti somatici e dalle movenze parecchio simili a quelle di un bambino, tanto da riuscire a suscitare quasi immediatamente un rapporto di fiducia in piccoli pazienti di età compresa tra i 5 e i 6 anni e costretti a confrontarsi quotidianamente con il disturbo dello spettro autistico.
Quest’ultimo è un insieme eterogeneo di disturbi del neurosviluppo, il quale fa il suo esordio nel corso dell’età evolutiva, caratterizzandosi per la presenza di deficit comunicativi e nell’interazione sociale con altre persone.
Stando agli ultimi dati raccolti, l’autismo è un disturbo che riguarda tra l’1% e il 2% della popolazione mondiale, con l’Italia che registra tra 600.000 e un 1.200.000 casi.
Solo nello Stivale, si stima che almeno 4.000 dei 393.000 nuovi nati nel 2022 si vedranno diagnosticare una sindrome autistica nel corso della loro vita.
Per questo, già nel 2020 l’IIT ha deciso di iniziare a collaborare con l’Opera Don Orione, mosso dal desiderio di mettere la propria tecnologia più all’avanguardia al servizio dei più piccoli, così da facilitare il loro processo riabilitativo.
Un progetto ambizioso, ma che ha già dato i primi importanti esiti positivi.
Finora l’utilizzo di iCub all’interno di un vero e proprio protocollo clinico si è dimostrato infatti assai efficace, come dimostrano le testimonianze raccolte in un articolo pubblicato sulla rivista di settore Autism Research.
Entrando più nello specifico, la prima parte della sperimentazione in questione si è conclusa nell’autunno del 2021, dopo aver coinvolto un gruppo formato da 45 bambine e bambini, inseriti nel percorso terapeutico del Centro Boggiano Pico.
A tutti questi fanciulli è stata data la possibilità di interagire direttamente con il robot iCub, attraverso una serie di giochi prestabiliti e il cui scopo finale era quello di permettere a ogni bambino di sviluppare le proprie competenze sociali.
A ideare l’attività svolta è stato un team di esperti coordinato da Agnieszka Wykowska dell’IIT, la cui idea è stata quella di affiancare iCub ai terapeuti nell’attività clinica classica.
Più nel concreto, nel corso delle varie sedute al robot umanoide è stato fatto manipolare un cubo in gommapiuma, riportante una diversa immagine su ogni faccia.
L’obiettivo dell’esercizio era quello di stimolare i bambini affetti da autismo a mettersi nei panni di iCub e identificare l’esatta immagine osservata dal robot, così da allenare la fondamentale competenze a immedesimarsi nel punto di vista degli altri.
Ma perché al fine di ottenere tale scopo è stato utilizzato proprio un robot?
Diversi studi dimostrano come un essere umano possa fornire troppi stimoli di rimando a chi ha di fronte a sé durante un atto di interazione sociale, rendendo così l’interazione stessa difficile da gestire.
Ciò vale soprattutto per le persone affette da autismo, le quali possono finire con l’essere sovrastate da questa ondata anomala di emozioni.
Se al posto di un essere umano c’è invece un robot, l’interazione appare subito molto più semplice e meno gravosa per i bambini affetti d’autismo.
Si può quindi dire che iCub è un facilitatore di interazioni sociali per i più piccoli, i quali riescono a empatizzare più naturalmente con un androide che con un altro Uomo.
Secondo i dati raccolti dai ricercatori, i robot umanoidi riuscirebbero a offrire la possibilità di superare il problema dell’incapacità razionale, frammentando un comportamento umano altrimenti troppo complesso.
Il risultato: un’interazione decisamente più semplice e gestibile per i bambini affetti da autismo.
A spiegare più approfonditamente il progetto che prevede l’utilizzo di iCub è stato Davide Ghiglino, ricercatore IIT e primo autore dello studio.
“La robotica riabilitativa non è nuova, ma spesso viene fatta in laboratorio, non in contesto clinico, e consiste in brevi interazioni che non vengono ripetute nel tempo. In questo caso, invece, le attività con iCub sono state armonizzate con i protocolli riabilitativi tradizionali previsti per i bambini coinvolte e svolte con continuità per un periodo di due mesi. È stata allestita una stanza apposita presso il centro Boggiano Pico e le attività col robot avvengono in armonia con i protocolli riabilitativi tradizionali. In questa integrazione sta l’unicità della nostra attività: una tecnologia avanzata viene armonizzata a un contesto sanitario e dotata di un protocollo definito da ricercatori e operatori sanitari”.
Ha raccontato Ghiglino al Corriere della Sera, aggiungendo poi qualche ulteriore dettaglio utile a capire meglio come funzioni la sperimentazione in corso al Centro Boggiano Pico di Genova.
“iCub è una piattaforma prototipale ed è, ad oggi, ancora utilizzato a scopo di ricerca. Per essere offerto, un servizio sanitario/assistenziale deve essere riconosciuto dalle autorità competenti. Noi offriamo l’attività sperimentale a qualsiasi famiglia che voglia provare il protocollo e sia già coinvolta nei percorsi assistenziali pubblici locali”.
Lasciare che a interagire con un bambino affetto da autismo sia direttamente un robot non finirà, però, con il distorcere la realtà e dare vita a effetti, sì positivi nell’immediato, ma poi negativi a lungo termine?
È una domanda legittima, che trova però una risposta chiara in quanto affermato da Federica Floris, psicologa e coordinatrice del progetto per l’Opera Don Orione:
“Il robot non sostituisce in alcun modo l’attività umana che il terapista svolge con i bambini, ma le ricerche da noi svolte dimostrano che può essere un efficace e ulteriore strumento di supporto all’équipe. Ciò vale soprattutto nel potenziamento di comportamenti che possono favorire lo sviluppo di competenze sociali fondamentali nella quotidianità. Nei prossimi anni l’obiettivo è sviluppare nuovi protocolli che possano lavorare su competenze sociali sempre più complesse e specifiche, spendibili nei vari contesti di vita, come l’asilo, la scuola, il parco giochi e la famiglia”.
Al fine di raggiungere questo nuovo obiettivo, sono già in fase di creazione nuovi training riabilitativi in contesti utili a simulare ambienti e circostanze specifiche per i bambini, come un’uscita in pizzeria o in gelateria.
Si tratta di contesti in cui i bambini possono allenare ulteriormente le proprie competenze sociali, le quali potranno poi essere più facilmente replicate nella propria vita quotidiana.
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