In questo articolo andiamo a scoprire tutto ciò che c’è da sapere a proposito dell’Anisakis, l’infezione che spaventa gli amanti del crudo di mare
Presunto caso di infezione da Anisakis a Napoli. Un giovane è stato ricoverato in ospedale dopo aver accusato nausea, vomito, diarrea e forti dolori addominali. Le autorità sanitarie stanno investigando sull’accaduto e hanno già diffuso un’allerta rivolta a chiunque abbia consumato cibo nello stesso locale frequentato dal ragazzo. L’episodio risale a venerdì 17 gennaio, quando il giovane aveva consumato pesce crudo – nello specifico salmone marinato – in un ristorante situato a Soccavo, Napoli. Poco dopo il pasto, il ragazzo ha manifestato sintomi sempre più gravi, fino a richiedere un intervento medico d’urgenza presso il pronto soccorso dell’ospedale Cardarelli. Dopo essere stato stabilizzato, il paziente è stato trasferito al Cotugno di Napoli, dove è stato sottoposto a diversi accertamenti diagnostici, tra cui gastroscopia, analisi del secreto gastrico e prelievo fecale. Gli esiti degli esami sono ancora in fase di elaborazione, ma i medici sospettano un’infezione da Anisakis, un parassita particolarmente pericoloso. Ma scopriamo qualcosa in più proprio su questa infezione.
L’Anisakis è un genere di nematodi parassiti che infesta diversi organismi. Più precisamente, queste specie di parassiti si trovano abitualmente nell’apparato digerente di alcuni pesci, molluschi e mammiferi marini. Gli Anisakis sono patogeni per l’uomo e causano un’infezione nota come anisakidosi o anisakiasi. Il contagio avviene attraverso il consumo di pesce crudo o poco cotto contaminato dal parassita. Oltre all’infezione, l’Anisakis può anche scatenare reazioni allergiche. In alcune persone, l’ingestione di pesce infetto provoca la produzione di immunoglobuline di tipo E (IgE), dando luogo a risposte allergiche che, in alcuni casi, possono essere severe.
Questi nematodi sono relativamente grandi rispetto ad altri parassiti e sono spesso visibili a occhio nudo. Di colore biancastro o rosato e tipicamente arrotolati su sé stessi, raggiungono una lunghezza compresa tra 1 e 3 cm.
La presenza del parassita è generalmente rilevabile durante la pulizia e l’eviscerazione del pesce crudo. Sebbene gli Anisakis si localizzino principalmente nell’apparato digerente del pesce, se questo non viene eviscerato rapidamente dopo la cattura, le larve possono migrare dalla mucosa gastrointestinale ai tessuti muscolari, aumentando il rischio di contaminazione.
Le anisakiasi rappresentano zoonosi emergenti dovute alla crescente diffusione di nematodi del genere Anisakis. L’ingestione di pesce crudo o poco cotto contaminato da larve di Anisakis può provocare un’infezione a carico del tratto gastrointestinale.
Tra le specie responsabili, la più frequentemente associata a queste infezioni è Anisakis simplex.
Quando le larve penetrano nella parete dello stomaco o dell’intestino, si verifica una reazione infiammatoria di tipo granulomatoso caratterizzata dall’infiltrazione di eosinofili e linfociti. Sebbene le larve tendano a morire dopo poco, la loro presenza può scatenare una serie di sintomi, tra cui:
In caso di coinvolgimento intestinale, l’organismo può sviluppare una marcata risposta granulomatosa eosinofila, con manifestazioni simili a quelle del morbo di Crohn. In queste circostanze, i sintomi tendono a comparire a distanza di 1-2 settimane dall’ingestione del cibo contaminato.
Per prevenire l’anisakiasi e distruggere le larve di Anisakis, è fondamentale adottare metodi adeguati di cottura e congelamento (o abbattimento, nel caso si intenda consumare pesce crudo).
Ecco le raccomandazioni fornite dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti:
Nel caso di congelatori domestici incapaci di raggiungere tali temperature, l’EFSA (European Food Safety Authority) consiglia il congelamento a -15°C per un minimo di 96 ore.
Il trattamento più efficace per l’anisakiasi consiste nella rimozione diretta del parassita dall’organismo del paziente. Questo può essere effettuato tramite:
In alcuni individui, l’infezione può risolversi spontaneamente nel giro di alcune settimane, accompagnata eventualmente da una terapia sintomatica e di supporto. In certi casi, può essere prescritto un farmaco antiparassitario, come l’albendazolo, da assumere per via orale. Tuttavia, la terapia farmacologica non è sempre indicata né efficace per tutti i pazienti.
Sarà compito del medico curante, quindi, valutare la situazione clinica e stabilire l’approccio terapeutico più adatto per ogni singolo caso.
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