“Dottoressa, mio figlio sta male ma non vuole farsi aiutare, come faccio a portarlo da lei?” “Ci venga lei!”: l’imitazione parte dall’esempio che diamo, dunque questo è il primo passo per smuovere le acque e poter aiutare i nostri figli ad andare in terapia.
Di solito i genitori di figli adolescenti alle prese con il periodo della trasformazione sembrano spaventati e disorientati, poiché si trovano a casa qualcuno che adesso non riconoscono, ma che fino all’altro ieri era il proprio cucciolo da coccolare e che a tratti sembra di nuovo mettersi in quei panni.
L’adolescenza in effetti è proprio il periodo del caos e questo può facilmente creare scompiglio: irritazioni, video games a tutte le ore, rispostacce, chiusura, conflitti aperti e musi lunghi sono tutti ingredienti ben conosciuti dai genitori degli adolescenti.
Nell’ultimo decennio si sono aggiunti poi altri tipi di sintomi: quella sintomatologia legata al ritiro e all’ansia sociale, al panico, alla fatica dello stare al mondo, al non avere un obiettivo, alla mancata costruzione di un’identità solida.
Ecco quando si ha a che fare con un ragazzo che esprime difficoltà emotive e/o relazionali di questo tipo, il genitore dovrebbe fare quello che consiglia al figlio: andare in terapia.
Dobbiamo distinguere tra psicoterapia e consulenza o sostegno genitoriale, poiché se si decide di intraprendere un percorso di psicoterapia sarà mirato al singolo genitore, quindi alla mamma o al papà che lavorerà su di sé e sugli aspetti maggiormente attivanti che la dinamica con il figlio scatena nel genitore.
Ad esempio il focus potrebbe essere sul motivo per cui ci si arrabbia moltissimo ogni volta che il figlio dice che farà quella cosa e invece non ci pensa neanche mentre non si è così arrabbiati se non rispetta la regola stabilita.
Se stiamo parlando di una psicoterapia si andranno a ricercare nella storia e nel mondo interno del genitore eventuali casse di risonanza di quel preciso stimolo per capire come disinnescare la sofferenza e/o la lotta di potere che si crea tra genitore e figlio.
Il sostegno alla coppia genitoriale invece si basa più sulla comprensione dei sintomi e segnali del ragazzo e sull’offrire un punto di vista tecnico sulla questione che possa aiutare il genitore a gestire meglio le dinamiche familiari.
Anche in questo caso si cerca di migliorare il benessere del nucleo familiare attraverso la comprensione dei comportamenti normalizzando dove è possibile e, quando necessario, si evidenziano quelle faccende che avrebbero bisogno di approfondimento con una psicoterapia.
In entrambi i casi e in maniera più o meno approfondita si fa un’analisi in cui il genitore finalmente sente di poter dare un senso a quello che vive.
Però, se ad andare in terapia è solo il figlio, potrebbe non bastare: il ragazzo infatti potrà concentrarsi su quello che lo riguarda, ma anche il genitore avrà da capire ed elaborare vissuti passati e gestioni future.
Comunemente i genitori si sentono dalla parte della ragione e sviluppano quel pensiero per cui se cambierà il figlio allora poi andrà bene.
Questo però non corrisponde alla realtà perché il genitore non può plasmare il figlio a proprio piacimento, quindi non potrà modificare il comportamento del ragazzo sulla base dei propri desideri o aspettative.
Il lavoro migliore e più a lungo termine sarà quello di squadra, in cui tutti i membri fanno la loro parte per poter raggiungere un buon equilibrio nel riconoscimento reciproco dei bisogni e delle necessità evolutive.
Difficile da comprendere e ancora di più da applicare soprattutto perché c’è lo zampino del mondo emotivo e non solo della ragione. La psicoterapia al genitore quindi servirà a riposizionare i pensieri, a dare senso ai comportamenti, a capirsi e a tenere per mano quel ragazzo quasi adulto nel bosco dell’adolescenza.
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