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Amiloidosi, quel che bisogna sapere sulle terapie sperimentali

Di questa malattia rara ne ha parlato anche Oliviero Toscani, oggi 82 anni. Ne è stato colpito e sta seguendo una cura sperimentale

Ad accendere i riflettori sull’amiloidosi cardiaca, malattia rara, debilitante e solitamente fatale sempre più riconosciuta nella pratica clinica, è stato il fotografo Oliviero Toscani, oggi 82 anni. Che in un’intervista al Corriere della Sera ha raccontato: “In un anno ho perso 40 chili. Neppure il vino riesco più a bere: il sapore è alterato dai medicinali. È una nuova situazione che va affrontata. La bellezza è che non ti interessano più patria, famiglia e proprietà, la rovina dell’uomo. Certo che vivere così non mi interessa. Bisogna che chiami il mio amico Cappato, lo conosco da quando era un ragazzo. Ogni tanto mi vien voglia. Gliel’ho detto già una volta e lui mi ha chiesto se sono scemo”. Per poi aggiungere che si sta sottoponendo a delle cure sperimentali.

Laboratorio analisi | pixabay @jarmoluk

Le cure sperimentali

La malattia si presenta con sintomi non specifici di cardiomiopatia e viene, quindi, associata spesso a lunghi ritardi nella diagnosi. Va detto, però, che i progressi nelle opzioni terapeutiche hanno migliorato la sopravvivenza dei pazienti, in particolare se il trattamento viene avviato in una fase precoce. Però, ad oggi, non esistono ancora trattamenti approvati per rimuovere o ridurre il livello di fibrille amiloidi già depositate negli organi, che possono continuare a causare disfunzioni progressive e provocare una morte prematura.

Attualmente sono cinque le terapie anti-fibrille in via di sperimentazione, ma non ci sono ancora prove cliniche che questo approccio possa migliorare la funzione degli organi, in particolare quella del cuore.

Di cosa si sta parlando

In sostanza, l’amiloidosi è causata da proteine mal ripiegate che si auto aggregano in fibrille amiloidi e si depositano in vari organi. Detto questo, l’amiloidosi cardiaca si verifica quando queste fibrille si depositano negli spazi interstiziali del miocardio, determinando una perdita dell’architettura e della funzione cardiaca. Le due forme principali di amiloidosi cardiaca sono l’amiloidosi da catene leggere (AL) e l’amiloidosi da transtiretina (ATTR). Come detto, sono difficili da diagnosticare, ma per garantire che i pazienti ricevano il trattamento corretto, è fondamentale identificare il tipo di amiloidosi e caratterizzare le fibrille.

Le terapie per l’amiloidosi AL

In questo caso sono tre gli anticorpi monoclonali oggetto di studio come agenti anti-fibrille per la forma AL: birtamimab, CAEL-101 e AT-03.

  • Birtamimab, in uno studio di Fase I/II, è stato ben tollerato a tutte le dosi somministrate fino a 24 mg/kg, ma nello studio di Fase IIB PRONTO non è riuscito a migliorare la risposta cardiaca, i risultati nel test del cammino in sei minuti (6MWT) e i livelli del marcatore NT-proBNP in pazienti con amiloidosi AL già sottoposti a precedenti terapie. Inoltre, birtamimab non ha ridotto la mortalità per tutte le cause nei pazienti di nuova diagnosi: lo studio, perciò, è stato interrotto. Tuttavia, un’analisi post-hoc ha evidenziato risultati promettenti tra i pazienti in stadio IV (il più grave secondo il sistema “Mayo 2012”).
  • Un altro agente, CAEL-101, negli studi di Fase I ha dimostrato la riduzione dei biomarcatori di cardiomiopatia e nefropatia, e nello studio di Fase II in corso è stato ben tollerato quando somministrato con una terapia anti-discrasia plasmacellulare che includeva daratumumab o come monoterapia dopo l’interruzione della terapia anti-PCD.
Analisi biochimica | pixabay @kkolosov

Le terapie per l’amiloidosi ATTR

Sono in fase di studio due anticorpi monoclonali, chiamati NI006 e NN6019-0001 (precedentemente noto come PRX004).

  • NI006, negli studi preclinici, ha facilitato l’eliminazione attivando le cellule fagocitarie. Oggi è in corso uno studio di Fase I per determinare il dosaggio e la sicurezza del farmaco nei pazienti.
  • NN6019-0001 agisce neutralizzando le varie specie prefibrillari di transtiretina e previene così la formazione di nuove fibrille amiloidi. Negli studi di Fase I è stato ben tollerato a tutte le dosi e ha dimostrato un miglioramento sia dello strain longitudinale globale che dei sintomi neurologici.
Redazione Saluteweb

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