Secondo una gruppo di ricerca internazionale guidato da scienziati neozelandesi dell’Università di Otago, che ha collaborato con alcuni colleghi canadesi del Centre for Heart, Lung and Vascular Health dell’Università della British Columbia di Okanagan, sei minuti di sport intenso al giorno potrebbero proteggere il cervello dall’Alzheimer e da altre patologie neurodegenerative. Coordinati dal professor Travis D. Gibbons, i ricercatori sono giunti a queste conclusioni dopo aver coinvolto in uno studio 6 uomini e 6 donne, tutti volontari e fisicamente attivi, d’età compresa tra i 18 e i 56 anni. Scopo della ricerca era verificare le variazioni nelle concentrazioni del fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF). In passato, alcuni studi su modelli animali, avevano dimostrato che il BDNF non solo migliorava la concentrazione, la memoria e le prestazioni cognitive, ma anche la protezione del tessuto nervoso: questo, infatti, è un composto legato alla protezione del cervello e alla cognizione.
Alzheimer e sport, lo studio in breve
Secondo gli esperti, entro il 2050 l’Alzheimer colpirà 130 milioni di persone. Per questo rappresenterà una vera e propria emergenza sanitaria globale. Secondo quanto emerso dal recente studio, tuttavia, l’attività fisica e il digiuno possono variare le concentrazioni di BDNF nel flusso sanguigno. I ricercatori hanno dunque voluto valutare queste variazioni, sottoponendo i partecipanti a una serie di ‘compiti’: digiuno per 20 ore, attività fisica leggera – ossia ciclismo a bassa intensità per 90 minuti; attività fisica intensa – quindi 6 minuti di ciclismo ad alta intensità – e una combinazione di digiuno e sport. Dalle analisi raccolte, successivamente, è emerso che l’attività fisica intensa, ossia i 6 minuti di ciclismo, avevano determinato un aumento del BDNF da quattro a cinque volte maggiore rispetto agli altri compiti. Da cosa dipenderebbe questo, dunque? Secondo i ricercatori, questo potrebbe essere dovuto al fatto che, durante un’attività fisica intensa, a livello neurologico cambia la fonte di energia sfruttata. Ad esempio, durante uno sforzo, per permettere al glucosio di essere maggiormente disponibile all’organismo, il cervello potrebbe affidarsi al lattato. L’aumento del BDNF, invece, potrebbe essere dovuto all’incremento delle piastrine, capaci di immagazzinare elevate quantità di questo fattore neuroprotettivo.
Le parole dei ricercatori
I risultati della ricerca sono stati poi pubblicati su ‘The Journal of Physiology’, una rivista specializzata. Nel frattempo, i ricercatori studiano ancora un modo per aumentare la concentrazione del BDNF, conducendo ulteriori test. Attraverso un comunicato stampa, il professor Gibbons ha dichiarato sulla ricerca: “Il BDNF ha mostrato grandi promesse nei modelli animali, ma finora gli interventi farmaceutici non sono riusciti a sfruttare in modo sicuro il potere protettivo del BDNF negli esseri umani. C’era la necessità di esplorare approcci non farmacologici in grado di preservare la capacità del cervello che gli esseri umani possono utilizzare per aumentare naturalmente il BDNF, al fine di favorire un invecchiamento sano”.