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Uno studio rivela che uomini e donne potrebbero rispondere in modo differente al farmaco monoclonale lecanemab: ecco tutte le informazioni a riguardo

Negli ultimi anni, la ricerca sull’Alzheimer ha fatto significativi passi avanti, in particolare con l’introduzione dei farmaci monoclonali, come il lecanemab, che promettono di rallentare il declino cognitivo nei pazienti affetti da questa malattia devastante. Tuttavia, recenti studi suggeriscono che ci possano essere differenze significative nella risposta a questi trattamenti tra uomini e donne, sollevando interrogativi cruciali sull’efficacia e sull’appropriatezza di tali terapie per diverse popolazioni.
Differenze di risposta tra uomini e donne
Una recente analisi pubblicata sulla rivista Alzheimer’s & Dementia ha messo in luce come le donne potrebbero rispondere in modo meno efficace rispetto agli uomini al farmaco lecanemab, già approvato negli Stati Uniti e raccomandato dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA). Questo farmaco è stato oggetto di uno studio clinico di fase 3, durato 18 mesi, che ha dimostrato una riduzione del declino cognitivo fino al 27% rispetto al placebo. Tuttavia, i dati emersi da questa nuova analisi hanno suscitato preoccupazioni, evidenziando una differenza di efficacia che potrebbe penalizzare le donne, che rappresentano una parte consistente della popolazione affetta da Alzheimer.
Il campione utilizzato per lo studio di riferimento non era sufficientemente ampio per consentire un confronto diretto tra uomini e donne, ma i risultati preliminari indicano un divario preoccupante. In particolare, gli uomini che hanno ricevuto il lecanemab hanno mostrato un rallentamento significativo del declino cognitivo del 43%, mentre le donne hanno mostrato solo un miglioramento del 12%. Questi risultati sono stati ottenuti attraverso diecimila simulazioni condotte da un team di ricercatori canadesi e italiani, guidati dal neuroscienziato Daniel Andrews dell’Università McGill.
Critiche e considerazioni
Tuttavia, le critiche non sono mancate. Molti esperti, tra cui Alessandro Padovani, presidente della Società Italiana di Neurologia, hanno espresso cautela riguardo all’interpretazione di questi risultati. Padovani sottolinea che le analisi post-hoc, come quella utilizzata in questo studio, possono fornire informazioni interessanti, ma devono essere interpretate con cautela per evitare conclusioni affrettate. Non essendo stati considerati fattori come il genotipo ApoE, la presenza di caregiver e le variabili sociali, l’analisi potrebbe non fornire un quadro completo della situazione.
Inoltre, anche se il lecanemab ha dimostrato di essere promettente, non è l’unico farmaco monoclonale in fase di valutazione. L’EMA ha recentemente rifiutato l’autorizzazione all’immissione in commercio del donanemab, sviluppato da Eli Lilly, a causa di preoccupazioni sui potenziali rischi associati a eventi avversi gravi, come emorragie cerebrali e gonfiore, che potrebbero essere fatali.
Le differenze di genere in medicina
La questione delle differenze di genere nella risposta ai farmaci non è nuova; studi precedenti hanno già evidenziato che le donne possono sperimentare l’Alzheimer in modo diverso rispetto agli uomini, con manifestazioni cliniche e progressioni della malattia che richiedono un approccio terapeutico personalizzato. La ricerca continua a rivelare che la biologia di uomini e donne può influenzare non solo la suscettibilità a malattie neurodegenerative, ma anche la risposta ai trattamenti.
In questo contesto, è fondamentale che gli studi futuri considerino attentamente queste variabili di genere e fattori di rischio, affinché i trattamenti possano essere ottimizzati per tutti i pazienti. L’evidenza suggerisce che una comprensione più profonda delle differenze biologiche e sociali tra i sessi potrebbe non solo migliorare l’efficacia dei trattamenti, ma anche contribuire a una gestione più equa della malattia di Alzheimer a livello globale.