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Alzheimer, un nuovo esame del sangue per diagnosticare la malattia

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Alzheimer’s & Dementia, suggerisce che livelli ematici elevati di glicani, una categoria complessa di molecole a base di carboidrati, potrebbero essere correlati ad un rischio maggiore di sviluppare l’Alzheimer. Lo studio, condotto dagli scienziati del Karolinska Institutet, in Svezia, ha valutato il legame tra i glicani e la possibilità di ricevere una diagnosi di Alzheimer. Per far ciò gli esperti, guidati da Robin Zhou, hanno analizzato i dati raccolti allo Swedish National Study on Aging and Care in Kungsholmen (SNAC-K), relativi a 233 partecipanti. Monitorati per circa 17 anni, i campioni dei volontari sono stati raccolti tra il 2001 e il 2004.

Cervello | Pixabay @sbtlneet

Cosa dice lo studio svedese

Il nostro lavoro suggerisce che i livelli ematici di glicani subiscono alterazioni notevoli nel corso della malattia di Alzheimer. La combinazione di un test della memoria e un esame del sangue potrebbe pertanto rappresentare una strategia efficace, economica e minimamente invasiva per diagnosticare tempestivamente la condizione, il che aumenterebbe notevolmente l’efficacia dei trattamenti per i pazienti”, ha dichiarato Zhou. Tuttavia, la tempestività nella diagnosi è fondamentale: riconoscere le persone più a rischio è essenziale e, negli ultimi tempi, è sempre più centrale la necessità, pratica e finanziaria, di impiegare metodi di screening per riconoscere la malattia. 

Come sono arrivati i ricercatori a questa scoperta? Un certo livello nel sangue di N-acetilglucosamina bisecata, una determinata struttura glicanica, può essere usato per prevedere il rischio di sviluppare, nel futuro, l’Alzheimer. Come hanno spiegato gli esperti, i glicani sono delle molecole di zucchero che si trovano sulla superficie delle proteine.

Donne anziane | Pixabay @silviarita

Alcune dichiarazioni dai ricercatori

Un semplice modello statistico capace di considerare insieme i livelli di glicani e proteina tau nel sangue ha mostrato un’affidabilità dell’80% nel riconoscere i pazienti a rischio, circa un decennio prima della manifestazione di sintomi associati all’Alzheimer. Il nostro approccio potrebbe essere davvero importante nel rilevamento precoce della malattia”, ha dichiarato Sophia Schedin Weiss, collega e coautrice di Zhou. Secondo invece un altro recente studio, condotto dagli studiosi del Brigham and Women’s Hospital di Boston, le donne che vanno in menopausa precocemente potrebbero avere maggiori probabilità di sviluppare l’Alzheimer. Nonostante lo studio americano sia ancora in fase preliminare, da questo è emerso che – a seguito della diagnosi di menopausa precoce – una terapia ormonale sostitutiva potrebbe ridurre il rischio di sviluppare questa malattia. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista specializzata Jama Neurology.

Lavinia Nocelli

Sono una fotogiornalista di Senigallia. Mi occupo di salute mentale, migrazioni e conflitti sociali: ho realizzato reportage nei campi profughi di Calais e Dunkerque, in Romania, Ucraina e Albania, a bordo della Sea Watch e in Irlanda del Nord. Collaboro con The Independent, Il Manifesto, Lifegate, TPI, InsideOver, Skytg24, e Good Morning Italia, tra gli altri

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