Uno studio condotto per otto anni su 1.7 milioni di persone a Roma ha messo in luce come vi sia una correlazione tra il livello di smog a cui erano esposti i partecipanti e le diagnosi di varie malattie mentali, oltre alle prescrizioni di farmaci antidepressivi, ansiolitici e antipsicotici. Lo studio è stato condotto dal dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista Science Direct. Secondo le risultanze della ricerca, non solo aumenta il pericolo di sviluppare malattie mentali, ma quando lo smog è oltre i livelli di guardia le patologie psichiatriche già esistenti possono peggiorare.
Nel dettaglio, essere continuamente esposti a inquinamento atmosferico aumenta il rischio di depressione del 13%. Precisamente ogni aumento di circa 1 microgrammo per metro cubo nell’esposizione al particolato fine (PM2.5) comporta un aumento del 13% rispetto al rischio di depressione, del 9% per i disturbi d’ansia e del 7% per la schizofrenia, soprattutto tra coloro che hanno un’età compresa tra i 30 e i 64 anni. In modo simile, vi è una correlazione tra l’inquinamento atmosferico e un aumento nelle prescrizioni di farmaci antipsicotici, antidepressivi e stabilizzatori dell’umore, con un incremento fino al 4%.
Inoltre, in base ai dati dello studio, è possibile stimare i benefici che potrebbero derivare da un miglioramento della qualità dell’aria nelle città. Gli studiosi suggeriscono che una riduzione del 10% dell’inquinamento da particelle a Roma potrebbe portare a una diminuzione del 10-30% delle diagnosi di malattie mentali, quindi con un considerevole alleggerimento della pressione esercitata da questo tipo di patologie sul sistema sanitario pubblico.
Secondo il team di ricercatori si tratta del primo studio di questo tipo realizzato su larga scala. Sono stati analizzati i dati del censimento relativi agli oltre 1,7 milioni di adulti residenti a Roma nel 2011, confrontandoli con i dati dell’assicurazione medica e sanitaria pubblica. Quindi, per gli otto anni successivi, sono state esaminate le cartelle cliniche alla ricerca di nuovi casi di disturbi mentali, includendo gli individui ricoverati in ospedale o quelli con nuove prescrizioni di farmaci antipsicotici, antidepressivi o di stabilizzatori dell’umore. Questi dati sono stati confrontati con i livelli di inquinamento atmosferico e inquinamento acustico provocato dal traffico nei diversi luoghi di residenza dei vari partecipanti allo studio, insieme ad altri fattori sociali che possono incidere sulla salute mentale, come la povertà, la disoccupazione, il livello di istruzione e lo stato civile. In particolare, sono state prese in considerazione le concentrazioni medie annue di particolato fine (PM2.5), biossido di azoto (NO ), carbonio nero (BC), particelle ultrafini (UFP) e rumore del traffico stradale.
“Lo smog può essere tossico sul funzionamento cerebrale al punto da provocare anche patologie psichiatriche, probabilmente attraverso un incremento dell’infiammazione generale o per un’alterazione delle difese antiossidanti”, ha spiegato Sergio Harari, Direttore Unità Operativa Pneumologia all’Ospedale San Giuseppe MultiMedica di Milano e professore di Medicina Interna all’Università Statale del capoluogo lombardo.
La scoperta “sottolinea l’importanza fondamentale dell’attuazione di misure rigorose per ridurre l’esposizione umana agli inquinanti atmosferici”, ha evidenziato il prof. Francesco Forastiere del Consiglio Nazionale delle Ricerche italiano e dell’Imperial College di Londra.
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