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Afta epizootica, cos’è e che impatto può avere sugli animali e sull’uomo

C’è una malattia poco conosciuta che si chiama afta epizootica. È virale ed è molto ma molto contagiosa che colpisce gli ungulati, animali che appoggiano il proprio peso corporeo sulla punta delle dita e che hanno, quindi, sviluppato le unghie a guisa di zoccoli per proteggerle dall’usura. Ne sono suscettibili anche bovini, suini, pecore, capre e bufali. Così come lo sono quelli selvatici, come i cervi, le antilopi, gli elefanti, i camelidi. Ma come può avvenire la trasmissione? Attraverso il contatto diretto tra animali infetti e quelli suscettibili, il contatto diretto di animali sensibili con oggetti inanimati contaminati (mani, scarpe, abbigliamento, mezzi di trasporto), il consumo, in particolar modo per la specie suina, di rifiuti di cucina contaminati non trattati, l’ingestione di latte contaminato (vitelli), l’inseminazione artificiale con seme contaminato, l’inalazione di aerosol infetto, attraverso il vento che, in determinate condizioni meteorologiche, è in grado di trasportare il virus a notevole distanza.

Maiali | pixabay @aitoff

La resistenza del virus

Il virus, diffuso con il materiale proveniente da vescicole, secrezioni ed escrezioni (spruzzi di latte, saliva, scolo nasale), è in grado di persistere a lungo nell’ambiente, creando condizioni favorevoli alla trasmissione diretta per via aerogena e indiretta. Il contagio indiretto, invece, può avvenire in seguito a contatto con carcasse, organi, escrezioni di animali infetti, oggetti, animali contaminati, prodotti di origine animale, per inalazione di virus trasportato dal vento, attraverso interventi zooiatrici o per mezzo di animali portatori. A tutto questo vanno aggiunti i pascoli, le stalle, i recinti degli animali, i residui di alimenti, i carri ferroviari, le automobili, gli autocarri. Anche l’uomo, come abbiamo appena visto, può essere veicolo di contagio accudendo gli animali o manipolando materiale infetto. Quindi, la resistenza del virus dipende da agenti fisici; resistente alla refrigerazione e al congelamento; sopravvive grazie all’essiccamento; resistenza in tessuti e materiali biologici; sopravvive nei linfonodi e nel midollo osseo a pH neutro; sopravvive nei linfonodi e nel midollo osseo congelati; residui virali possono permanere nel latte e nei prodotti a base di latte durante la regolare pastorizzazione.

Pecora | pixabay @Uschi_Du

La trasmissione della malattia

Come abbiamo accennato, la malattia si trasmette per contatto diretto e indiretto e l’infezione si può instaurare attraverso la via respiratoria (più comune nei ruminanti) o quella digerente (più comune nei suini). Nei bovini sono diversi i sintomi: febbre, anoressia, arresto della ruminazione, diminuzione della produzione di latte. In un paio di giorni iniziano le manifestazioni eruttive tipiche. Succede nella bocca, nei piedi e nella mammella. Sono presenti le vescicole sulla lingua, sulla faccia interna delle labbra, sulle gengive, sul palato, sulla parte interna delle guance, a volte possono essere interessate anche la parte esterna delle labbra, il musello, le palpebre, la base delle corna e le orecchie. Invece, la localizzazione mammaria del virus può determinare micromastite. Ma non finisce qui. Perché il virus, inoltre, è in grado di colpire anche diversi organi, dando luogo a forme atipiche della malattia. Come, ad esempio, la forma cardiaca. Per i suini, invece, il decorso e le manifestazioni cliniche sono simili a quelle dei bovini. Le lesioni vescicolari sono più frequenti sul grugno e ai piedi. Le lesioni ai piedi possono essere così gravi da portare alla perdita degli unghielli e degli unghioni e la zoppia spesso costituisce il primo e più evidente sintomo. Anche negli ovini la malattia assomiglia a quella dei bovini, sono abbastanza frequenti però le forme asintomatiche. Per loro le lesioni buccali sono rare nella pecora e quando sono presenti assumono l’aspetto di aree erosive.

Redazione Saluteweb

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