Anche la dislessia potrebbe avere un’origine genetica, con variazioni nelle strutture cerebrali che indicherebbero una predisposizione allo sviluppo di questa condizione.
Lo dimostra uno studio di coorte condotto dal Max Planck Institute, pubblicato su Science Advances, che ha coinvolto oltre 35.000 adulti affetti da dislessia. Questo studio si è basato sull’analisi di dati genetici raccolti da grandi database come il UK Biobank e 23andMe, identificando 35 varianti genetiche associate a specifiche strutture cerebrali.
La dislessia è una questione genetica: ecco perché
Tali varianti sembrano suggerire l’esistenza di una predisposizione neurobiologica non solo per la dislessia, ma anche per altre condizioni correlate. La scoperta rappresenta un importante passo avanti nella comprensione dei fattori neurobiologici alla base di questa condizione, evidenziando la natura complessa e multifattoriale della dislessia.
La ricerca del Max Planck Institute è attualmente lo studio di neuroimaging più ampio mai condotto sulla dislessia, una condizione neuroevolutiva piuttosto comune, che colpisce fino al 7% dei bambini in età scolare. Studi precedenti avevano già individuato differenze strutturali nell’emisfero sinistro del cervello, correlate alla dislessia, ma tali analisi erano state condotte su campioni di popolazione molto più ridotti, spesso limitati a poche centinaia di individui. Inoltre, queste indagini si concentravano principalmente su aspetti teorici della malattia, senza approfondire correlazioni specifiche tra varianti genetiche e strutture cerebrali.
Al contrario, lo studio attuale adotta un approccio analitico e sistematico. Utilizzando dati di studi di associazione genomica (GWAS) forniti dal UK Biobank, i ricercatori hanno calcolato i punteggi poligenici di dislessia (PGS) per otto tratti geneticamente correlati alla condizione. Questi punteggi, che misurano il rischio genetico associato alla dislessia, sono stati combinati con informazioni fenotipiche relative a caratteristiche morfologiche e funzionali, determinate dall’interazione tra genetica e ambiente.
L’analisi ha poi integrato dati di imaging cerebrale provenienti da un campione di 35.231 adulti, permettendo di osservare chiare correlazioni tra le variazioni volumetriche di specifiche strutture cerebrali e i livelli di PGS associati alla dislessia. I risultati hanno mostrato che riduzioni di volume nella capsula interna del cervello erano significativamente associate alla predisposizione genetica alla dislessia e all’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività). Inoltre, queste riduzioni volumetriche sono state correlate a difficoltà di lettura, linguaggio e altre capacità cognitive.
Un altro aspetto rilevante emerso riguarda la corteccia motoria: una diminuzione del suo volume sembra essere specificamente collegata a una predisposizione genetica alla dislessia. Questi risultati rafforzano l’ipotesi secondo cui la dislessia non sarebbe semplicemente una questione di difficoltà di apprendimento legate al linguaggio, ma piuttosto una condizione complessa con radici neurobiologiche e genetiche.
Lo studio non solo evidenzia la necessità di considerare la dislessia come un tratto eterogeneo con molteplici fattori alla base, ma apre anche nuove strade per approfondire le interazioni tra genetica, ambiente e strutture cerebrali. Comprendere meglio queste connessioni potrebbe avere implicazioni significative per l’identificazione precoce della dislessia e per lo sviluppo di interventi mirati, offrendo supporto personalizzato alle persone che vivono con questa condizione.
In conclusione, questa ricerca rappresenta un punto di svolta nella comprensione della dislessia, dimostrando che la predisposizione genetica gioca un ruolo importante, influenzando non solo il funzionamento cerebrale, ma anche le capacità cognitive associate al linguaggio e alla lettura. L’ampiezza e la portata dello studio costituiscono una solida base per futuri approfondimenti, contribuendo a delineare un quadro più chiaro e completo delle cause neurobiologiche della dislessia.