L’8 maggio si celebra la Giornata Mondiale della talassemia. Vediamo di cosa si tratta, come si può curare e quali sono i progressi fatti finora.
La talassemia è una patologia rara ma abbastanza diffusa in Italia e nel Mediterraneo, nella forma chiamata beta-talassemia o anemia mediterranea. Si tratta di una malattia genetica ereditaria che compromette la capacità dei globuli rossi di trasportare l’ossigeno all’interno del sangue.
In passato la talassemia non consentiva di vivere oltre i 10 o anche 15 anni di età, nelle sue forme più gravi. Oggi, per fortuna, l’aspettativa di vita si è allungata di molto, grazie a trasfusioni e terapie ferrochelanti. Inoltre, sono stati compiuti pregressi notevoli che promettono in futuro di rivoluzionare ancor più radicalmente la storia naturale di questa malattia.
L’emoglobina contenuta nei globuli rossi ha il compito di permettere il trasporto dell’ossigeno. Nei pazienti affetti da talassemia la produzione di emoglobina è compromessa da un difetto genetico ereditario che crea problemi di ossigenazione dei tessuti.
Vi sono due forme di talassemia. La beta-talassemia dipende dalla compromissione dei geni responsabili della composizione della catena beta dell’emoglobina. Se solo un gene è alterato viene definita talassemia minor e raramente produce sintomi. Quando entrambi i geni sono compromessi si parla di talassemia major, una patologia che esordisce con sintomi gravi entro i primi due anni e richiede terapie per tutto il corso della vita.
La seconda forma della malattia è l’alfa-talassemia, più diffusa in Medio Oriente, nei paesi africani e nel Sud Est asiatico. Dipende dal malfunzionamento dei geni che producono la catena alfa della proteina. I geni necessari per la normale produzione dell’emoglobina sono 4: se è solo uno a essere difettoso si è portatori sani e non si sperimentano sintomi; con due geni mal funzionanti si soffre di talassemia minor; con tre di una forma grave o intermedia, mentre i portatori di quattro geni alterati solitamente non sopravvivono alla nascita.
Nei casi più gravi si ricorre a trasfusioni periodiche di sangue, effettuate ogni 2 o 3 settimane, per tutto il corso della vita. Tuttavia, in questo caso si incorre in un altro pericolo, quello dell’emocromatosi, l’accumulo eccessivo di ferro nel sangue che, a sua volta, va curato con farmaci ferrochelanti.
In Italia, recentemente, è stato approvato un nuovo farmaco, il luspatercept, il capostipite della classe degli agenti di maturazione eritroide, utilizzabile in persone affette da anemia trasfusione-dipendente, tra cui anche i pazienti talassemici, che aumenta la produzione di globuli rossi e riduce, quindi, la necessità di ricorrere alle trasfusioni.
Di recente la terapia genica ha portato risultati molto interessanti per la cura della talassemia, e negli studi effettuati ha permesso di rendere indipendenti dal bisogno di trasfusioni fino al 90% dei pazienti. Questa forma di terapia è in via di valutazione da parte dell’agenzia del farmaco europea.
Altra possibilità è quella di modificare geneticamente le cellule staminali del midollo che producono globuli rossi, permettendo di correggere le alterazioni che causano la talassemia. Questo studio è in una fase di sviluppo meno avanzata.
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