A volte capita di provare a cercare su Google alcuni sintomi che si provano, giusto per farsi un’idea generale prima di andare dal medico. Il problema è che spesso i risultati nei quali ci s’imbatte fanno pensare al tumore o a una qualche malattia rara e incurabile, e solo in una minuscola percentuale di casi rispecchiano la realtà. A volte basterebbe fare una ricerca su Internet in meno per andare in ambulatorio con più tranquillità. Google non ha reso in alcun modo obsolete le diagnosi precise e basate su una conoscenza approfondita del paziente fatte dal medico di famiglia e neppure l’intelligenza artificiale (AI), per quanto più versatile del motore di ricerca, rappresenta una minaccia per le professioni sanitarie. Scopriamo il perché.
L’intelligenza artificiale non prova empatia
Un medico non si limita a curare i pazienti, ma fornisce loro anche del supporto emotivo, rassicurandoli quando sono preoccupati e confortandoli nei momenti più difficili. Ci riesce grazie all’empatia, una caratteristica umana che l’intelligenza artificiale non è in grado di replicare. In assenza di un simile legame diventa difficile fidarsi di un algoritmo che propone un’operazione chirurgica particolarmente rischiosa o invita preferire un tipo di medicina al posto di un’altra.
Il National Health Service, il servizio sanitario del Regno Unito, ha fatto un esperimento nel quale ha utilizzato dei chatbot al posto degli operatori umani per fornire assistenza da remoto ai pazienti. Molte persone si sono limitate a prenotare più in fretta un appuntamento con un medico in carne e ossa, senza affidarsi ai consigli dei chatbot.
Ogni paziente è diverso
Se tutti i pazienti fossero uguali, allora forse avrebbe senso affidare le diagnosi all’AI. La realtà, per fortuna, non è così monotona e l’esperienza di vita dei medici è ancora necessaria per affrontare casi clinici molto diversi l’uno dall’altro. Talvolta per capire di cosa soffre un paziente può essere necessario ragionare fuori dagli schemi, concentrandosi su fattori come l’ambiente in cui vive, le abitudini alimentari, i ritmi lavorativi e altro ancora. Un buon medico ha bisogno della giusta dose di creatività per risolvere i problemi e sotto questo punto di vista l’AI ha ancora parecchia strada da fare per essere altrettanto affidabile.
Anche le tecnologie più all’avanguardia devono essere operate da qualcuno
La tecnologia può senz’altro semplificare alcune procedure in campo medico e renderle più efficienti ma serve a poco senza del personale esperto capace di sfruttare al meglio. Ciò non vale solo per l’intelligenza artificiale, ma anche per i sistemi di chirurgia robotica, tra cui Da Vinci della Intuitive Surgical. Quest’ultimo può operare con grande precisione ed è usato per svolgere degli interventi molto delicati, ma non può fare nulla senza un professionista che lo manovri da remoto. Lo stesso vale per IBM Watson, un sistema di intelligenza artificiale usato dagli oncologi per ottenere dei suggerimenti sulle possibili procedure da seguire in ogni caso.
Le AI non potranno mai fare tutto
In campo medico ci sono numerosi compiti che le AI non potranno mai svolgere. Per esempio, IBM Watson è in grado di scandagliare dei documenti da milioni di pagine in pochi secondi, ma non può eseguire la manovra di Heimlich. Questo ci porta all’ultimo punto…
I medici e le AI non sono avversari
Le AI, i robot e tutte le altre tecnologie a disposizione non sono avversari con i quali i medici devono competere, ma degli strumenti al loro servizio, pensati per rendere il sistema sanitario sempre più efficiente e all’avanguardia. I professionisti possono usarli per perdere meno tempo con le scartoffie, condurre delle operazioni difficili con una precisione che un chirurgo faticherebbe a eguagliare, ottenere con rapidità informazioni altrimenti difficili da reperire e altro ancora.
La tecnologia non dev’essere vista come una minaccia per le professioni sanitarie, ma come un’opportunità per garantire delle cure sempre migliori ai pazienti.